Malattie Reumatologiche e Lavoro. L’intervista a Raffaele Convertino pubblicata sul sito ohga!.it

Raffaele Convertino

Di seguito vi riportiamo un estratto dell’articolo Barriera occupazione: quanto è difficile riuscire a lavorare per chi ha una malattia reumatica?, pubblicato sul sito online ohga!.it contenente un’intervista a Raffaele Convertino, volontario dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare – APMARR APS:

Oggi è la Giornata Mondiale della Malattie Reumatiche e questa data trova l’Italia impreparata. Il 61% dei pazienti è costretto a lasciare il proprio lavoro o a ridurre orari e mansioni non solo per le difficoltà legate alla patologia, ma anche perché non si vede riconosciuti i propri diritti. Abbiamo ascoltato le loro storie e provato a caprine di più.

Il 61% delle persone affette da malattie reumatiche ha dovuto abbandonare il lavoro, oppure ridurre in modo significativo orari e mansioni. Il 26,5% non parla della sua patologia con i colleghi o con i suoi superiori, nella maggior parte dei casi perché ha paura di essere licenziato. Il 50,3% non conosce il proprio grado di invalidità. Numeri impressionanti che sono emersi dal rapporto APMARR-WeResearch 2019 “Vivere con una malattia reumatica”. Come puoi vedere, in Italia siamo ancora ben lontani dal rispetto dei diritti dei disabili. A cominciare dal fatto che la parola corretta sarebbe valorizzazione. “L’inserimento lavorativo del disabile viene avvertito spesso come un obbligo sociale o legislativo, quando invece dovrebbe basarsi sul collocamento mirato per sottolineare e sfruttare al meglio le sue competenze”, conferma Raffaele Convertino, di APMARR (Associazione Nazionale Persone con Patologie Reumatologiche e Rare).

(…)”Sono passato attraverso varie esperienze di lavoro, ma ho incontrato difficoltà soprattutto a causa delle barriere culturali che ancora esistono – prosegue. Ho accettato un tirocinio formativo per quattro anni. Timbravo alle 8 del mattino e uscivo alle 14, ricevendo solo 400 euro di rimborso spese. Alla fine non ho ottenuto nessun contratto, anche se ho chiesto spiegazioni ai dirigenti. È stato un duro colpo, ma non mi sono dato per vinto: ho iniziato a lavorare per un’azienda privata del mio paese. Quando feci presente che secondo la legge 104 mi spettavano tre giorni di permesso ogni mese, mi fu risposto che non ero stato assunto in un ente pubblico e che solo il mio datore di lavoro poteva dirmi se era autorizzato ad assentarmi oppure no”.

La legge 68/99 ha previsto una convenzione con i centri per l’impiego per valorizzare le competenze del disabile
(…)”Ha rappresentato una vera svolta normativa – ci spiega Convertino – perché si fonda sul concetto della valorizzazione delle competenze. A livello regionale, però, ci sono differenze nel modo in cui viene attuata. Anche se devo riconoscere che ultimamente è stato fatto qualche sforzo”.

I diritti restano solo sulla carta
(…)”Sulla carta ci sono tantissime possibilità, ma la verità è che dobbiamo faticare per ottenerle”, confessa Raffaele Convertino.

(…)”Si ha la paura di mostrarsi fragili – interviene Convertino. – Siamo un po’ figli del mito dell’efficienza e pensiamo di dover apparire sempre forti. È anche per questo motivo che i lavoratori disabili tendono a preferire il pubblico. Nel privato si ha più timore di rivendicare i propri diritti, soprattutto in aziende piccole. Si teme di essere visti come un ostacolo e di diventare vittima di mobbing”.

L’ambizione da dimenticare
“Avevo grandi sogni, ma poi ci si accorge che la vita indipendente per una persona affetta da disabilità è una conquista complicata”.

Le possibili soluzioni
(…)”Io sono un combattente, non mi arrendo. Uso le nuove competenze che ho acquisito per sostenere le persone più giovani che magari hanno abbandonato il sogno di una vita indipendente”.
“Avrei sempre voluto diventare dipendente di una Asl, anche per le conoscenze in ambito sanitario che ho dovuto acquisire. Mi sono impegnato molto per ridurre la disabilità ed entrare nel mondo del lavoro. Ma alla fine ho capito che dovevo investire sul mio talento: ho rinunciato a inviare curriculum a ogni azienda e sono partito da quello che sapevo fare. Mi sono formato come counselor e ora sto creando anche uno studio sotto casa”.

Per leggere l’articolo completo clicca qui