La sclerodermia nei bambini e negli adolescenti rappresenta una rarità nella rarità. È per questo che APMARR e AILS hanno deciso di dedicare a questo argomento, in occasione della Giornata mondiale delle Malattie Rare, un webinar, animato da tanti esperti per raccontare al pubblico tutti gli aspetti di questa malattia, le criticità da superare, le terapie di oggi e quelle di prossimo arrivo.
di Maria Rita Montebelli
In occasione della Giornata mondiale malattie rare APMARR e AILS hanno parlato dai loro social di sclerodermia in età pediatrica. “Abbiamo cominciato ad occuparci di patologie reumatologiche in età pediatrica da qualche anno – ricorda Antonella Celano, presidente di APMARR – grazie ad Alessio, un bimbo che oggi non è più con noi e che era affetto proprio da sclerodermia. Da allora abbiamo svolto molte attività; tra le tante mi fa piacere ricordare il premio intitolato proprio ad Alessio, che finanzia delle borse di studio per giovani pediatri che si siano particolarmente distinti nella ricerca sulla sclerodermia pediatrica”.
“La nostra associazione – spiega Gabriela Virzì, presidente di AILS (Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia) – è approdata ai piccoli pazienti da quando ho assunto la presidenza di AILS, anche per la mia storia personale, avendo ricevuto una diagnosi di sclerosi sistemica in età evolutiva. Su questo argomento abbiamo realizzato anche un libricino come guida per i genitori e impazienti, che distribuiremo anche ai pediatri”.
La sclerodermia è una condizione che determina un importante ispessimento e irrigidimento della cute soprattutto alle estremità (mani e piedi); può causare rigidità articolare, quindi la difficoltà nei movimenti e, nella forma sistemica, può dare un interessamento a vari livelli di gravità degli organi interni (polmoni, reni, cuore). La morfea (o sclerodermia localizzata) si presenta come aree di indurimento della pelle. La lesione di base della morfea (fibrosi della cute, del sottocute e dei tessuti sottocutanei fino al coinvolgimento di muscolo e osso) è la stessa della forma sistemica ma non arriva mai a interessare gli organi interni, anche se sono segnalati casi di iridociclite (infiammazione della camera anteriore dell’occhio) in alcune forme importanti che colpiscono il viso. La morfea può presentarsi in chiazze isolate o come aree multiple di indurimento della pelle; una delle forme più frequenti è quella ‘lineare’ che può comparire a livello della fronte, di un arto o di una guancia; questa, oltre a interessare la cute, tende a colpire gli strati più profondi del tessuto connettivo, del muscolo, arrivando a volte fino all’osso e portando a importanti conseguenze funzionali, quali rigidità nel movimento dell’articolazione situata sotto la stria di sclerosi, riduzione di crescita dell’arto colpito (fino all’arresto di crescita ad esempio di una gamba), con importanti conseguenze funzionali sullo sviluppo del bambino.
La sclerodermia è una malattia molto rara nel bambino, ma rappresenta comunque la terza malattia reumatologica cronica in ordine di frequenza, in età pediatrica. “La forma sistemica – spiega il professor Francesco Zulian, Professor Associato di Pediatria, Università di Padova – rappresenta l’80% dei casi e ha un’incidenza di 30 casi per milione nei bambini (in Veneto 15-20 nuovi casi l’anno); l’età media all’esordio è di 7-8 anni. I segnali d’allarme che i genitori devono tener presenti per la forma sistemica sono la comparsa del fenomeno di Raynaud, cioè un cambiamento improvviso di colore e temperatura asimmetrico delle mani che diventano prima pallide, poi scure-cianotiche e infine rosse-iperemiche. Si accompagna a dolore più o meno intenso e a volte a perdita di sensibilità. Il sintomo può durare da pochi minuti a ore ed è dovuto ad un vasospasmo delle arteriole che portano sangue alle estremità. Non va confuso con l’acrocianosi, con l’eritromelalgia e con i geloni”.
La diagnosi. “Il sospetto diagnostico – spiega il Professor Fabrizio De Benedetti, Responsabile della UOC di Reumatologia e del Laboratorio di Immuno-reumatologia, Ospedale ‘Bambino Gesù’ di Roma – va confermato con due esami del sangue, il dosaggio degli ANA (anticorpi antinucleo) e degli ENA (extractable nuclear antigens), e con la capillaroscopia, che consiste nel guardare con una sorta di lente d’ingrandimento standard le cuticole delle unghie, per studiare il microcircolo (i piccoli vasi capillari e le venule), che sono tipicamente alterati in questa malattia. La diagnosi precoce è di grande importanza e idealmente andrebbe fatta prima del coinvolgimento cutaneo e di un difetto funzionale di movimento (rigidità articolare importante), ma soprattutto prima dell’eventuale coinvolgimento degli organi interni, molto importante per la prognosi futura”.
Dove fare questi esami? Il sito dell’Ails (www.ails.it) riporta un elenco di centri di riferimento.
Comunicare la diagnosi. Un momento molto delicato è quando si comunica la diagnosi alla famiglia e al piccolo paziente. “Comunicare una diagnosi difficile come quella di sclerodermia – commenta la dottoressa Maria Cristina Maggio, pediatra dell’Ospedale dei Bambini ARNAS di Palermo – significa rendersi parte attiva, al fianco del bambino e dei genitori, per costruire insieme un percorso di cura medica, di supporto psicologico e relazionale e di follow up per affrontare la vita. Richiede un percorso assistenziale spesso lungo e complesso, bisogna sorvegliare l’insorgenza delle complicanze e trovare la terapia adatta e tagliata su misura. Comunicare la diagnosi ad un bambino significa dirgli: io ci sono e ti sono accanto e mi impegno affinché tu possa avere le pari opportunità dei tuoi coetanei”.
Elaborare la diagnosi e imparare a convivere con la malattia. La diagnosi può essere vista come un momento di stravolgimento della quotidianità, ma come per tutte le malattie rare è anche fonte di sollievo, dopo un periodo di grande incertezza. “Tutto questo – spiega la dottoressa Teresa Antonicelli, psicologa e psicoterapeuta – può tradursi in emozioni che possono configurare anche un vero e proprio stato di shock o a reazioni di rabbia e di disperazione. La prima cosa da fare è legittimare queste emozioni come ‘normali’ e umane, accogliendole in appositi spazi e tempi, dedicati ai genitori, ai ragazzi e agli adolescenti; c’è tutta una nuova vita da ricostruire in un momento delicato qual è quello dell’età evolutiva. Lo psicologo deve intervenire per capire insieme quali aspetti possono ostacolare la quotidianità, che possono essere legati all’aspetto estetico delle manifestazioni cutanee e al senso di estraneità spesso percepita; ma anche al dolore che può limitare la motilità, molto importante in età scolare perché è anche il movimento che crea l’integrazione”. Un altro aspetto è la difficoltà di aderire alla cura farmacologica che, per gli effetti che provoca, può diventare fonte di auto-rimprovero, di estraneità e inadeguatezza percepita. “Sono tutti aspetti ed emozioni spesso fonte di auto-censura – conclude l’esperta – che invece vanno condivise in un contesto comunitario, dando il giusto spazio ai genitori e al ragazzo, per poi integrare la prospettiva con quelli che possono essere gli impatti della malattia e tutto quello che va oltre la malattia stessa”.
La terapia della forma sistemica è molto complessa e articolata; essendo una forma molto rara, non esistono studi in età pediatrica e tutte le conoscenze vengono dunque mutuate dagli studi sugli adulti. “I capisaldi della terapia della forma sistemica – spiega la dottoressa Giorgia Martini, UOSD Reumatologia Pediatrica, Azienda Ospedale Università di Padova – sono farmaci ad azione immunomodulante (basse dosi di cortisone, metotrexate, micofenolato mofetile), che bloccano il ‘cortocircuito’ del sistema immunitario che ha innescato la malattia. Importante anche la terapia sintomatica per migliorare la qualità di vita dei pazienti; per migliorare il fenomeno di Raynaud utilizziamo farmaci vasodilatatori (sia per bocca, che per via iniettiva), usiamo inoltre farmaci che agiscono sulla digestione (la sclerodermia può interessare anche l’apparato gastro-intestinale) e sulle difficoltà respiratorie dovute alla fibrosi polmonare. Le nuove frontiere della terapia, per le forme più gravi, sono i farmaci biologici che bloccano l’infiammazione, agendo sul sistema immunitario (rituximab, anti-interleuchina 6)”.
“La terapia della morfea, nel caso delle forme a singola lesione – spiega il professor Angelo Ravelli, dell’Ospedale Gaslini di Genova – nelle fasi iniziali infiammatorie si possono trattare con la fototerapia (esposizione a raggi ultravioletti). Una vera e propria artrite infiammatoria è rara e si osserva solo nelle forme più estese (dette ‘pansclerotiche’). Più spesso questi bambini hanno contratture articolari e questo può ostacolare la funzionalità delle articolazioni. La morfea ha una grande eterogeneità: si va dalla singola chiazza a forme a decorso lineare che colpiscono come un taglio la cute e il sottocute, estendendosi a volte a colpire il muscolo e l’osso, fino alle forme più gravi dette ‘pansclerotiche’. La terapia quindi si differenzia in rapporto alla forma. La singola chiazza di morfea non richiede una terapia sistemica, è un problema essenzialmente estetico. Si tratta con terapie locali: nella fase infiammatoria con creme al cortisone che aiutano a spegnere l’infiammazione, con creme a base di immunomodulatori (come il tacrolimus e l’imiquimod) o con la fototerapia. Sono in corso studi di fase 2 con creme a base di farmaci ad azione antifibrotica. Nelle forme di morfea generalizzata con chiazze multiple, nelle forme lineari e pansclerotiche la terapia è sistemica e si basa su un’induzione con una dose di cortisone piuttosto robusta e protratta (per spegnere l’infiammazione e bloccare la progressione di malattia) e sul metotrexate. Se questa terapia non dà i risultati sperati, un’alternativa è rappresentata dal micofenolato o, nelle forme più gravi, da biologici come il tocilizumab e o come il rituximab”.
L’interessamento degli organi interni e i trattamenti. Alla diagnosi, i bambini con sclerodermia sistemica hanno un minor coinvolgimento d’organo rispetto all’adulto; e anche durante il decorso, alcune complicanze temibili quali il coinvolgimento renale e l’interessamento cardiovascolare sono tendenzialmente più rare nel bambino. “Al contrario – spiega la dottoressa Adele Civino, Responsabile Unità di Reumatologia e Immunologia pediatrica dell’Ospedale ‘V. Fazzi’ di Lecce – nei ragazzi è molto frequente l’interessamento gastro–intestinale che può dare disturbi della deglutizione e quindi la perdita di peso, che sono importanti segnali d’allarme e che devono essere trattati subito perché incidono pesantemente sulla qualità di vita. Più frequente nella forma pediatrica è la possibilità che si infiammino le articolazioni e che si abbiamo contratture articolari, soprattutto a carico delle mani; è fondamentale dunque un trattamento precoce per evitarle. Le complicanze più temibili sono quelle a carico dei polmoni e del cuore; è molto importante individuarle precocemente anche quando i sintomi non ci sono ancora o sono lievi. Per questo in tutti i centri di reumatologica pediatrica vengono effettuati accertamenti periodici ai ragazzi con sclerosi sistemica, anche in assenza di sintomi, per individuare eventuali segni iniziali che impongono delle terapie specifiche. Per questo, è fondamentale l’approccio multidisciplinare (anche per mezzo di collaborazioni a distanza nelle forme più complesse, visto che la nostra è una rete di centri di reumatologia pediatrica consolidata). Anche la collaborazione con le Associazioni pazienti può essere preziosa al riguardo perché può aiutarci a dare risposta ai casi più severi, sottolineando l’importanza dell’alleanza terapeutica col paziente che riguarda non solo il comprendere il fabbisogno fisico, la complicanza d’organo, ma anche l’aspetto psico-sociale, fondamentale per dare una risposta globale”.