Morfologie n.38 – GRUPPI DI AUTO-AIUTO -Gruppi di auto mutuo aiuto e dolore cronico. Un presidio di inclusione sociale di Alessio Sandalo*

Rita Charon, della Columbia University di New York, a fine degli anni ‘90, descrisse un sistema tripartito per comprendere da vicino la realtà della malattia: illness, sickness, disease.

Per illness Charon intende “la sensazione che il soggetto ha del proprio star male”, una percezione personale che lo porta a entrare in contatto con i suoi pensieri e sentimenti. È una visione soggettiva del sentirsi, mediata dal background culturale del soggetto. Sickness è il modo in cui il contesto sociale e culturale interpretano la malattia dell’individuo. È il punto di vista della comunità, che implica di conseguenza certi diritti e certi obblighi derivanti dal riconoscimento sociale della patologia. Disease infine, è la malattia fisica vera e propria che colpisce il malato e riguarda tutti i sintomi e i segni che il medico può constatare e tramite i quali può fare la diagnosi occupandosi del reale stato di salute del soggetto.

Centrale è l’esperienza della persona nel suo complesso, sia in termini di malattia biologica, che di malessere psicologico, che di adattamento sociale.

Oltre alla qualità delle cure offerte, è necessario ragionare in termini di qualità della vita, soprattutto in caso di patologie croniche.

Questo modello è coerente con la concezione della salute come processo bio-psico-sociale, un percorso e non un risultato. E ad attuare questo percorso, sono chiamati non solo i medici, ma tutti noi, caregivers, esperti della cura e non, semplici cittadini. Creare un ambiente sano, una comunità inclusiva, è il diritto/dovere di tutti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il self-help, o mutuo aiuto, è l’insieme di “tutte le misure adottate da non professionisti per promuovere, mantenere o recuperare la salute (intesa come completo benessere fisico, psicologico e sociale) di una determinata comunità”.

E un esempio di presidio di comunità sono i gruppi di Auto Mutuo Aiuto (AMA).

L’idea arriva dagli Stati Uniti, dove fare team è una competenza consolidata dei cittadini.

Il gruppo AMA, nel caso delle patologie croniche, contribuisce a legare il vissuto (illness e sickness), al disease dei tecnici, dei professionisti.

Nel gruppo si apre alla narrazione dei pari, degli “esperti per esperienza”, individui “ricchi di vita”, di storia, di lotte e conquiste. La voce delle persone è la ricchezza dei gruppi AMA, la loro forza, in una società che spesso le emargina e non le ascolta.

La dimensione dei gruppi AMA è quella del piccolo gruppo, non più di 10-12 partecipanti, in cui in modo del tutto volontario, ci si racconta.

Il facilitatore, colui che aiuta il gruppo ad esprimersi, è un pari, un volontario tra gli altri, che cambia ad ogni riunione e assicura che si rispettino i turni di parola, che tutti possano avere il tempo e il modo di partecipare, con le proprie differenze, nel grado e nella forma che preferiscono, anche soltanto ascoltando in silenzio.

Il gruppo non chiude mai, nemmeno in estate. È un appuntamento (in genere quindicinale) in cui ognuno sa che verrà accolto, ascoltato, sostenuto.

Nel gruppo AMA, spesso si arriva in un gruppo già formato, dove ciascuno è libero di fare insieme un pezzo di strada, di condividere quel particolare momento di vita, di quotidianità. Anche il libero accesso è un valore di accoglienza. Nel gruppo si imparano tante cose. Per prima cosa si impara a stare insieme e ad ascoltare. Si impara a legare assieme i diversi punti di vista, le emozioni buone e i dolori e le sofferenze.

Spesso si arriva al gruppo ‘arrabbiati con il mondo intero’ e ci si saluta a fine incontro ‘alleggeriti’, col sorriso che possiamo portarci dentro fino al prossimo appuntamento.

È questa una delle magie del gruppo: la trasformazione e la ‘bonifica’ delle emozioni più pesanti. La sensazione è quella di libertà, di attenzione, di non-giudizio.

Il focus non è sui sintomi; il sistema condiviso è sulle risorse, sulle idee, sulle cose che funzionano: ci sono obiettivi, regole e valori. In questo modo, il tempo condiviso restituisce alla persona una competenza, un senso di sé, un ruolo; crea inclusione sociale e nuovi legami tra le persone. Auto-mutuo aiuto significa che chi aiuta riceve egli stesso un aiuto, “ognuno riceve nella misura in cui dà”. E non crediate che si chiacchieri soltanto! Ci sono ottime occasioni di cene autogestite, con una creatività gastronomica sorprendente.

Del resto, una parte significativa della quotidianità che trova narrazione nel gruppo, è costituita da tutte quelle ‘terapie occupazionali’ che, ben lungi dall’essere un hobby, un passatempo, rappresentano un ‘fare’ artistico e artigianale di livello.

Divulgare la cultura dell’auto-mutuo aiuto significa compiere un atto umano e politico di appartenenza, significa ridare ai cittadini responsabilità e renderli protagonisti nei percorsi di cura, riabilitazione, cambiamento, per migliorare il benessere della comunità, del territorio.

 

*Facilitatore gruppi AMA Torino e Ivrea.

 

 

Riferimenti bibliografici

  • Albanesi, 2004. I gruppi di auto-aiuto. Carocci, Roma.
  • Benso, 1993. Gruppi, organizzazione e conduzione. Sovera, Roma.
  • Fasolo, 2002. Gruppi che curano, gruppi che guariscono. La Gorongola, Padova.
  • Silverman, 1993. I gruppi di mutuo aiuto. Erickson, Trento.
  • Steinberg, 2004. L’auto/mutuo aiuto: guida per i facilitatori di gruppo. Erickson, Trento.
  • Tognetti Bordogna, 2002. Promuovere i gruppi di self help. F. Angeli, Milano.