Morfologie n.39 – LA PATOLOGIA Focus on: l’algodistrofia, una misteriosa sindrome dolorosa ancora poco nota di Maria Rita Montebelli

L’algodistrofia (o Complex Regional Pain Syndrome, CRPS, di tipo I) è una malattia caratterizzata da dolore cronico, difficilmente controllabile e associato spesso ad edema di mani e piedi. Può essere estremamente invalidante e la diagnosi richiede spesso molti mesi. Anche le cause non sono note; spesso compare a distanza di settimane da un trauma contusivo, dopo una frattura o la rimozione di un apparecchio gessato, ma anche dopo una lunga camminata o una ‘storta’ alla caviglia. Il dolore fortissimo e bruciante che la caratterizza è sempre sproporzionato rispetto alla causa scatenante. La malattia colpisce più spesso le donne ed ha una prevalenza mondiale di 26 casi/100.000 persone, dunque non è tecnicamente una malattia ‘rara’ ma di certo è poco comune, poco conosciuta e quindi sotto-diagnosticata. Tutte queste caratteristiche rendono dunque molto complesso il patient journey, dalla diagnosi, dai primi sintomi, alla terapia.

 

Il punto della situazione è stato fatto nel corso di un evento web promosso dalla Società Italiana per la Gestione Unificata ed Interdisciplinare del Dolore muscolo-scheletrico e dell’Algodistrofia (SI-GUIDA), organizzato da Pharmastar, al quale ha preso parte anche Antonella Celano, presidente APMARR.

“Man mano che si fa informazione su questa patologia – rivela Antonella Celano – aumentano le telefonate alla nostra associazione. Questi pazienti hanno un dolore, che condiziona fortemente la qualità della vita; non arrivare alla diagnosi, anche a livello psicologico inoltre li colpisce molto e li porta allo sconforto. Il patient journey è complesso; il dolore a volte è anche difficile da raccontare al medico di famiglia che poi deve inviare il paziente allo specialista ortopedico e reumatologo. Il problema è riconoscere la patologia; anche il paziente deve imparare riconoscerne i sintomi; per questo è così importante fare informazione, perché il paziente può indirizzare il medico, se li esprime in maniera corretta. Ma le difficoltà sono enormi e le diagnosi sottostimate. Ci auguriamo che il viaggio del paziente diventi sempre più lineare, per uscire dall’attuale labirinto e arrivare presto alla diagnosi e alla cura precoce. Ma questo presuppone tanta informazione e tanta formazione, oltre che arrivare dallo specialista giusto. Ma anche un maggior ascolto, perché ascoltare ciò che il paziente esprime, potrà aiutare nell’indirizzare dallo specialista. E ai pazienti dico ‘non vi scoraggiate’ perché la soluzione a volte è dietro l’angolo. Seguite i consigli del medico, siate aderenti alla terapia e siate protagonisti del percorso di cura. Se vogliamo evitare invalidità irreversibili è indispensabile la diagnosi precoce, che si ottiene con un impegno comune da parte del clinico, del paziente e di tutti gli altri attori coinvolti nella cura del paziente. Sul nostro sito diamo tante informazioni: dai centri d’eccellenza, alla pensione di invalidità e il come ottenerla”.

“L’algodistrofia – spiega il professor Giovanni Iolascon, direttore esecutivo di SI-GUIDA, Università della Campania ‘Vanvitelli’, Napoli – è una sindrome dolorosa cronica, la peggiore per l’entità del dolore che causa. Il dolore si localizza nella parte distale degli arti (distretto polso-mano e caviglia-piede). È urente, fortissimo; alcuni pazienti lo descrivono come il dolore più forte mai sentito. Alla diagnosi si arriva spesso tardi, dopo aver scartato una serie di altre patologie”.

“Il dolore – sottolinea il professor Massimo Varenna (SIR), direttore UOS di Osteoporosi e Malattie Metaboliche, ASST ‘Gaetano Pini’ CTO, Milano, di recente nominato il miglior Esperto Mondiale in Algodistrofia dall’agenzia americana di ranking Expertscape – è il sintomo preminente che guida il paziente alla ricerca di qualche rimedio, in ragione della sua intensità. Ma possono associarsi anche altre manifestazioni, che nel singolo paziente possono variare molto nel tempo. È il caso dell’edema a carico di mano e piede, associato ad aumento della temperatura della parte (raramente a riduzione della temperatura); il colore può essere rosso o bluastro; possono esserci a volte anche aumento della sudorazione e un cospicuo deficit di motilità della mano e del piede. Queste le caratteristiche fondamentali che il clinico deve ricercare per fare diagnosi di algodistrofia. Sintomo d’esordio è il dolore, sproporzionato rispetto alla causa scatenante (trauma o intervento chirurgico); tutti gli altri sintomi clinici compaiono quasi contemporaneamente”.

“Il campanello d’allarme – prosegue il Professor Giuseppe Solarino, ortopedico presso l’Università di Bari (SIOT) – è un dolore che sale ‘a guanto’ dalla mano verso il polso o ‘a calzino’, dalle dita del piede in su, fin quasi al polpaccio. L’edema può essere presente anche nel tessuto osseo”.

La diagnosi è sempre di esclusione e ci si arriva dopo aver eliminato tutte le cause di dolore cronico. Esistono sindromi para-algodistrofiche nelle quali sono presenti solo alcuni dei sintomi (criteri clinici) descritti dall’OMS per la diagnosi di algodistrofia (i cosiddetti criteri di Budapest).

“È difficile arrivare alla diagnosi – ammette il professor Umberto Tarantino, Policlinico di Tor Vergata, presidente SI-GUIDA – perché questa patologia può assumere aspetti molto diversi, che spiazzano il medico. Dall’esame radiografico non emergono alterazioni, lesioni o postumi fratturativi; l’ecografia mostra edema delle parti molli. Uno degli esami che possono indirizzare alla diagnosi è la risonanza magnetica”. “La risonanza magnetica – spiega il professor Iolascon – è un esame importante che ci permette di individuare la compromissione dell’osso e la presenza di edema osseo, che molto spesso è caratteristica, anche se non patognomonica, di questa malattia. Un altro esame importante è la scintigrafia ossea che ci permette di identificare i punti ‘caldi’ dell’algodistrofia, cioè le parti di osso dove il metabolismo è accelerato. Questo è importante anche dal punto di vista terapeutico, perché la scintigrafia utilizza la stessa sostanza che useremo in terapia, un bifosfonato, che si va a legare all’osso metabolicamente più attivo. Quindi questo esame facilita la diagnosi ed indica la terapia. Ma questa è una malattia complessa e l’approccio bio-psico-sociale è fondamentale per identificare la patologia e far prevedere la prognosi (nel 20-30% dei casi, anche con la migliore terapia, non si hanno buoni risultati)”.

“Il medico di famiglia – riconosce la dottoressa Lucia Muraca, componente gruppo di studio nazionale SIMMG terapia del dolore e cure palliative – è molto importante come ‘filtro’ e primo punto di riferimento per il paziente con dolore. Ma è necessaria l’acquisizione di un metodo clinico e di determinate competenze. Siamo abituati a pensare al dolore come ‘sintomo’ e non come ‘malattia’, mentre nel caso dell’algodistrofia, il dolore cronico è la malattia. Il medico di famiglia deve impostare una terapia d’attesa, per affrontare prontamente la problematica dolore, in attesa diagnosi definitiva”.

“I farmaci che si utilizzano in prima linea per contenere infiammazione, flogosi, edema, iperemia – ricorda il professor Tarantino – sono i FANS. Ma possono essere utilizzati a breve termine, perché alla lunga non sono efficaci sull’edema e possono dare effetti indesiderati. L’altra grande categoria di farmaci utilizzati sono i corticosteroidi somministrati per via sistemica, utili nelle fasi iniziali della malattia; se somministrati a lungo il loro impiego può comportare effetti indesiderati (ipertensione, iperglicemia, ecc). Per il dolore si può ricorrere anche a oppidi e paracetamolo, ma nel lungo periodo possono avere effetti negativi”.

“Sanare il dolore del paziente – afferma il professor Varenna – è forse il primo compito del medico, ma va curata la malattia, senza fermarsi alla terapia sintomatica. Il neridronato, un bifosfonato, è l’unico farmaco di documentata efficacia nel controllo di questa malattia e della ripresa funzionale. È somministrabile per via endovenosa (in ambiente ospedaliero) o per via intramuscolare (a domicilio). Il profilo di efficacia delle due vie di somministrazione è sovrapponibile nel lungo termine, ma l’effetto è più rapido con la somministrazione per via endovenosa.”

“L’algodistrofia è una malattia complessa – ammette il professor Giovanni Antonio Checchia, SIMFER – che richiede un approccio multidisciplinare. La riabilitazione e la terapia occupazionale sono una parte importante della presa in carico di questi pazienti e deve essere svolta da personale esperto. La terapia riabilitativa nell’algodistrofia va di pari passo a quella farmacologica, con un approccio multimodale. Dobbiamo prenderci cura non solo della patologia, ma del paziente; questo è molto importante una volta superata la fase acuta, quando il paziente sviluppa dolore cronico. Il movimento è importante e va smontata la teoria che in questi pazienti serve tenere a riposo l’arto. È la cosa peggiore. Certo, il movimento va dosato a seconda della sintomatologia presentata dal paziente. Utilizziamo anche tecniche per riorganizzare la corteccia cerebrale. L’effetto nociplastico del dolore porta infatti ad una disorganizzazione delle aree corticali alle quali arrivano gli stimoli sensitivi, di quelle dove il sintomo dolore viene rielaborato in sofferenza e delle aree che sottendono alla memoria del dolore. Ci sono tecniche messe a punto di recente che cercano di ‘ingannare’ il cervello, per spezzare questa rimodulazione delle vie centrali del dolore, quali le tecniche di mirror therapy, di realtà virtuale, di neuro-riabilitazione”.

 

NOTE TESTO:

Il campanello d’allarme è un dolore che sale ‘a guanto’ dalla mano verso il polso o ‘a calzino’, dalle dita del piede in su, fin quasi al polpaccio.
L’edema può essere presente anche nel tessuto osseo.
La risonanza magnetica permette di individuare l’edema dell’osso mentre la scintigrafia ossea evidenzia i ‘punti caldi’ dell’algodistrofia, quelli dove il metabolismo è accelerato.