Si è tenuto presso la Sala Zuccari del Senato l’evento istituzionale che APMARR organizza in occasione della Giornata Mondiale. Tra i partecipanti, rappresentanti del mondo politico, delle società scientifiche, dei farmacisti e della medicina di famiglia
di Dario Francolino
È la ricerca di un modello di assistenza territoriale integrata (ATI) in reumatologia che ha mosso Apmarr – l’Associazione nazionale persone con patologie reumatologiche e rare – a promuovere in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Reumatiche, celebrata il 12 ottobre, uno studio su questa tematica strategica per il prossimo PNRR. La ricerca è stata condotta da Engage Minds HUB, Centro di ricerca in psicologia della salute dell’Università Cattolica (www.engagemindshub.com/), su un campione di 450 pazienti.
E i risultati, presentati a Roma nel corso di evento istituzionale di alto livello scientifico, non lasciano dubbi. L’Assistenza Territoriale Integrata per gli oltre cinque milioni di persone con patologie reumatiche e rare, di cui oltre 700.000 in forma severa e invalidante, ha bisogno di un robusto intervento migliorativo. “Siamo stufi – denuncia la Presidente Antonella Celano – di essere come la pallina di un flipper che gira, spesso a vuoto, alla ricerca di diagnosi, assistenza, cure, cercando da soli di costruirci un personale filo rosso assistenziale. Non giriamo intorno al problema. L’ATI in reumatologia oggi non esiste”. Gli aspetti strutturali e di sistema sono il primo problema da risolvere nella quasi totalità dei cittadini con malattie reumatiche.
Occorre però adattare la nuova assistenza in base ai livelli di engagement del paziente, cioè al suo livello di coinvolgimento attivo nel proprio progetto terapeutico; analoghe percentuali si riportano rispetto alle visite a domicilio e del reumatologo. Ciò che occorre potenziare, è la cosiddetta ‘sanità d’iniziativa’ quella che va verso il cittadino e non lo aspetta in ospedale, con nuovi processi e piattaforme codificate e omogenee per le reti reumatologiche, usando le risorse del PNRR. Negli ultimi 12 mesi, segnati dalla pandemia e dalla presunta spinta alla sanità digitale, ben 7 persone con patologie reumatologiche su 10 non sono mai o quasi mai riuscite ad effettuare una videochiamata al proprio medico di base. Ben il 31% dei rispondenti lamenta di non aver potuto mai/quasi mai accedere ad un ambulatorio specialistico vicino a casa negli ultimi 12 mesi e il 43% dichiara di non aver mai/quasi mai avuto tempi di attesa breve per essere visitato/a da uno specialista (come ad esempio il reumatologo).
“Buoni, secondo il 50% del campione, i rapporti con i medici di medicina generale e gli specialisti ma per 1 su 2 andrebbe migliorato il coinvolgimento – rivela Guendalina Graffigna, Professore Ordinario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore di EngageMinds HUB – Il quadro cambia quando dai fattori di relazione tra cittadini e professionisti, si passa ai rapporti con il sistema sanitario”. Qui sono molte le persone intervistate che denunciano carenze organizzative e strutturali, quando per esempio devono prenotare una visita specialistica e si trovano di fronte lunghi tempi di attesa. Ma i disagi riportati dagli intervistati in merito all’accessibilità della cura sul territorio non sono finiti: il 59% dei rispondenti riporta che negli ultimi 12 mesi non gli è mai/quasi mai capitato di poter essere visitato/a dal medico di base a casa sua e ben il 67% non lo è mai/quasi mai stato da parte dello specialista facendo, ad esempio, un teleconsulto attraverso una videochiamata. Il livello di soddisfazione circa l’accesso alle cure per il 43% del campione scende ulteriormente sia in termini di opportunità di scelta dello specialista, sia per l’impossibilità di scegliere giorni e orari per una prima visita o per una di controllo.
Così come non risulta sufficientemente elevata la possibilità di effettuare online la prenotazione della visita di controllo, che pure viene vista come una modalità auspicabile da molti pazienti. “Lavorare per cluster di pazienti – afferma la professoressa Graffigna – consentirà di non erogare a tutti le stesse modalità di assistenza e cura. Chi è più ingaggiato infatti beneficerà dell’offerta digitale via APP e Telemedicina, diversa l’assistenza per pazienti non ingaggiati a sufficienza o addirittura come si suole dire in black out, per i quali basterà intervenire sui servizi di base come assistenza al proprio domicilio e proattività”. Ma quindi che fare? “L’organizzazione dei servizi di cura per le persone affette da patologie croniche, tra le quali si evidenziano le patologie reumatiche in termini di prevalenza e incidenza – conclude la Presidente – sono un aspetto della sanità nazionale ed internazionale che necessita di maggiore attenzione e di risposte immediate ed innovative a seguito dei mutamenti clinico-epidemiologici a cui si sta assistendo da alcuni decenni a questa parte.
Un modello articolato, che cioè contemperi i quattro livelli di integrazione in questo campo: integrazione clinica, ovvero il coordinamento dell’assistenza centrata sulla persona in un unico processo attraverso il tempo; l’integrazione professionale tra i sanitari, cioè la partnership interprofessionale basata su competenze, ruoli e responsabilità condivise; l’integrazione organizzativa, compresi meccanismi di governance comuni; l’integrazione normativa per lo sviluppo e il mantenimento di un quadro di riferimento coerente tra organizzazioni, gruppi professionali e individui”.
DIDA TESTO: “Non giriamo intorno al problema. L’Assistenza Territoriale Integrata per gli oltre cinque milioni di persone con patologie reumatiche e rare non esiste ancora”.
Antonella Celano.