A colloquio con Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri*
Filippo Anelli è Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), eletto all’unanimità per il triennio 2018-2021. La sua è una presenza abituale sui media nazionali (ma ultimamente la sua fama ha travalicato i confini nazionali, approdando sulle pagine di British Medical Journal). Anelli, che è Presidente dell’Ordine dei Medici di Bari, sta mostrando una forte leadership; la sua presidenza è mirata a restituire dignità, ruolo sociale e politico alla classe medica e a tutelare il diritto alla Salute. Questa è la sua intervista esclusiva rilasciata a Morfologie.
Il Medico di Medicina Generale (MMG) è il gate keeper della salute sul territorio. Ed è sul territorio che si gioca la partita più importante per attivare strategie di prevenzione e contenimento del contagio. Ad un anno di distanza dal primo lockdown, secondo lei cosa è mancato, qual è stata l’occasione persa per il medico di medicina generale?
Più che per il medico di medicina generale, parlerei di un’occasione persa per tutto il sistema, per l’intero Servizio Sanitario Nazionale. Puntare di più sulle cure primarie avrebbe permesso di avere, sin da subito, 80 mila medici sentinella – tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali – sul territorio, pronti a individuare e a spegnere sul nascere i focolai, monitorare i pazienti, gestire diagnosi e tracciamento dei pazienti. Questo, però, presupponeva un’organizzazione diversa, con i professionisti in rete e in équipe, dotati della strumentazione ma, anche delle protezioni adeguate, e accompagnati con linee guida studiate per le cure territoriali. Invece, almeno all’inizio, tutto questo è mancato: i medici di medicina generale sono stati lasciati soli, a combattere a mani nude contro il virus. Tanto che, dei 349 medici rimasti vittima del Covid, più della metà erano medici di medicina generale.
Dopo l’occasione persa – da diagnosi di ciò che non ha funzionato – la prognosi: cosa andrebbe fatto e ancora non è “on air”?
Ridisegnare la medicina del territorio non è soltanto la strategia giusta per gestire nel migliore dei modi la convivenza con il virus. È anche e soprattutto la chiave per la presa in carico della popolazione, con sempre più pazienti anziani e cronici e per l’abbattimento delle liste d’attesa.
Che fare, dunque? Occorre una riforma delle cure primarie, anzi una vera rivoluzione, che superi, una volta per tutte, la politica a silos verticali propria dei distretti, e veda i professionisti lavorare, insieme, gomito a gomito, al letto del malato. Ora è il momento di dare un colpo di reni, di una svolta che porti ad abbandonare politiche ormai vetuste, come quelle dei distretti, con la moltiplicazione delle figure dirigenziali, a favore di politiche che mettano invece al centro i professionisti, con le loro competenze peculiari e sinergiche. Professionisti che lavorino in micro-team, come suggerito recentemente anche da Ocse, e che abbiano a loro disposizione strutture adeguate, strumenti diagnostici di primo livello e terapeutici.
Secondo lei, passata l’emergenza, si dovrà metter mano alla questione del federalismo in sanità immaginando un rapporto diverso tra centro di regia ed esecuzioni locali?
Certamente, e non siamo solo noi medici a dirlo. Lo scorso febbraio, la Corte Costituzionale ha sancito che spetta allo Stato, e non alle Regioni, determinare le misure necessarie al contrasto della pandemia. È quanto, come Fnomceo, sosteniamo sin dall’inizio: è il Governo centrale a dover avere un ruolo forte di guida in questa emergenza. Ruolo che, ove possibile, andrebbe ulteriormente potenziato, e messo a sistema anche una volta usciti dalla crisi, per diminuire le disuguaglianze di Salute che ancora, a tanti livelli, persistono nel nostro Paese, e che il Covid ha amplificato. La parola chiave per uscire dalla crisi è, a nostro avviso, una sola: solidarietà. Occorre solidarietà tra le Regioni, perché ritornino a ragionare come un corpo unico, come un Servizio sanitario nazionale, appunto, che coordina e gestisce i sistemi regionali.
È arrivato il momento di riflettere su un ruolo più forte e centrale del Ministero della Salute: auspichiamo una modifica di legge che rafforzi le sue capacità di intervento, aumenti le disponibilità economiche e le sue funzioni al fine di colmare le disuguaglianze.
Lei oltre a essere il presidente di FNOMCEO è anche reumatologo, qual è dal suo duplice punto di osservazione, il costo ancora non quantificato che il Covid ci presenta sul fronte delle malattie croniche e delle fragilità connesse?
Il Covid non ha purtroppo mandato in lockdown le altre malattie. Al contrario, sottraendo risorse organizzative, finanziarie e umane alla loro cura, ha aumentato le disuguaglianze di salute. Per questo, oltre alle vittime dell’epidemia, dobbiamo cominciare a contare tutte le vite perse in maniera indiretta, per patologie non curate in tempo o nel modo più appropriato.
Molte e preziose le lezioni che l’emergenza Covid-19 ci lascia: dal ruolo della telemedicina, che più che come “televisita”, vediamo come “teleconsulto” tra medico di medicina generale e specialista; alla deburocratizzazione delle cure, con la dematerializzazione della ricetta medica e il rinnovamento, da parte del medico di medicina generale, dei piani terapeutici; a un potenziamento della medicina del territorio e delle cure domiciliari.
*Sul sito di Apmarr è possibile leggere l’intervista integrale al dottor Anelli.