MORFOLOGIE 49 – Il digital gender gap nella cultura del digitale in sanità (seconda parte)

di Italia Agresta*

Il volume “ll digital gender gap nella cultura del digitale in sanità” è una panoramica generale, una comunicazione di esperienze specifiche ed una, conclusiva, dedicata a progetti e servizi con i contributi di quasi 80 autori.
All’interno di questo libro, APMARR ha redatto il capitolo Intelligenza Artificiale e la parità di genere, del quale abbiamo pubblicato la prima parte su Morfologie 48. Qui riportiamo la seconda e ultima parte.
Anche il mondo del lavoro è disequilibrato: in Europa e nel Regno Unito (si veda quanto riportato in EIGE), solo il 16% delle persone che lavorano nel campo IA sono donne e solo il 12% ha più di 10 anni di esperienza. Questo dato si ripresenta anche in Italia dove le donne ricoprono solo il 16% dei posti di lavoro dell’IA.
Questa distorsione, unita al punto iniziale su chi produce i dati, porta ad una duplice conseguenza: da una parte, abbiamo sistemi di IA che rielaborano e usano dati incompleti o parziali; dall’altra non esiste una sensibilità fra le persone impiegate in questo settore a valutare le conseguenze di questa parzialità non percependo come risultati inesatti quelli che potrebbero violare diritti fondamentali delle persone, le donne e più in generale tutti coloro che rientrano in schemi di diversità rispetto ai modelli sociali di riferimento.
La disuguaglianza misurata indica che ad oggi, le soluzioni di IA sono create da menti maschili i cui “bias” possono riflettersi pesantemente sulle analisi dei dati alla base degli algoritmi adottati, mentre occorre selezionare adeguatamente i dati utilizzati per l’addestramento tenendo conto della diversità dei dati e delle caratteristiche delle persone.
È importante che più professionisti/e comprendano quanto sia importante creare modelli che tengano presenti rischi e limiti, utilizzando modelli appropriati perché questi possano riprodurre e amplificare gli stereotipi e i pregiudizi già presenti nei dati utilizzati.
Dovrebbero essere le donne che operano nel settore ad essere sensibili a questi aspetti in quanto sviluppatrici di soluzioni promuovendone l’uso, comprendendone i limiti e collaborando alla rimozione di ogni aspetto discriminatorio. E non solo loro come sviluppatrici, ma anche le utilizzatrici di IA devono mantenere alta l’attenzione su questi aspetti nell’usare tool di IA in vari settori che richiedono soluzioni di alta complessità.
Tutto ciò apre il tema sulla creatività, la sensibilità su come l’IA stia modificando il contesto lavorativo.
La reale partecipazione delle donne all’industria dell’IA e il loro contributo nel renderla più inclusiva e meno soggetta a “bias” cognitivi e pregiudizi è un aspetto da osservare a partire dai dati disponibili: il rapporto dell’UNESCO The Effects of AI on the Working Lives of Women pubblicato a marzo del 2022, indica che solo il 18% dei ruoli esecutivi e di leadership nelle maggiori start up di IA mondiali è ricoperto da donne. Questo conferma aspetti di disparità che si propongono non solo in ambito imprenditoriale ma anche in quello accademico dove ci si attenderebbe una mentalità più aperta e innovativa, invece i dati OECD.AI del 2020 riportano come solo il 14% degli autori/autrici di articoli accademici sull’IA fossero donne; il report conclude che aumentare il numero e il tasso di donne nell’imprenditoria e nell’innovazione legate all’IA sarà fondamentale per rendere inclusivo lo sviluppo dell’IA.
ll rilancio dell’occupazione femminile prospettato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza richiede che aumenti il numero delle laureate o diplomate nell’area STEM. Secondo Istat nel 2021 i laureati e le laureate in Italia in queste discipline avevano un tasso di occupazione dell’85,3% (superiore al tasso di occupazione medio dei laureati italiani – 82,1%) che comunque risente di un divario di genere tra gli 8 e i 9 punti percentuali.
Guardando al caso italiano (ISTAT) prima della pandemia nel 2019 le donne diplomate erano quasi i due terzi del totale (il 64,5%) e quelle laureate il 22,4% contro il 16,8% degli uomini; nonostante i livelli di istruzione delle donne fossero più elevati, il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (56,1% contro 76,8%). Sempre nel 2019, il 24,6% dei laureati (25-34enni) aveva una laurea nelle aree STEM: in questo ambito il divario di genere era ancora molto forte: il 37,3% degli uomini contro il 16,2% delle donne a differenza del campo umanistico dove le quote si invertono: 30,1% tra le laureate e 15,6% tra i laureati.
Così come nelle imprese, anche nelle università le donne in Italia rimanevano sottorappresentate rispetto agli uomini: a titolo d’esempio in Italia avevamo 12.303 professori ordinari e 2.952 professoresse ordinarie, i professori associati erano 19.676 mentre le colleghe 7.575. All’aumentare del livello di carriera, la percentuale femminile calava.
Nella situazione post pandemia, in accordo con i dati ISTAT, i laureati STEM sono il 24% del totale dei laureati tra i 24 e i 35 anni; se poi osserviamo più nel dettaglio, distinguendo per genere si mantengono le notevoli differenze già osservate. Queste differenze non sono solo a livello di formazione universitaria ma anche in quella secondaria: nei paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), la differenza media di punteggio tra maschi e femmine in matematica è di 5 punti, in favore dei maschi. In Italia questa differenza è più elevata, ben 16 punti in percentuale.
Diversa appare la differenza nell’ambito degli ISTITUTI TECNOLOGICI SUPERIORI “ITS Academy” istituiti nel 2010: nel 2022 a fronte di 5.280 diplomati si è raggiunto un risultato importante, il 57,7% di questi sono ragazze.
A fronte delle molteplici aree di impiego di soluzioni di IA, è evidente quanto sia importante operare in gruppi di lavoro con competenze, visioni diverse e complementari e con figure (maschili e femminili) esperte di informatica, algoritmi e dei vari settori in cui vogliamo applicare questa disciplina.
Occorre contaminare i saperi, affrontare i progetti in modo innovativo, creando e costruendo una nuova catena di trasmissione fra vari campi di ricerca; è questo che può offrire pari opportunità a donne e a uomini in questi spazi creativi.
Ciò richiede, come indicato, un approccio inclusivo; non solo, è importante includere vari settori da quello umanistico a quello scientifico permettendo l’uso delle soluzioni di IA che rispettino i principi etici a cui la legislazione europea si richiama, in particolare il principio di parità.
Ci si interroga da tempo sul tema dell’algocrazia e dei big data, domandandosi se questi segneranno la superiorità del cervello delle macchine su quello dell’uomo; l’IA rimane uno strumento che conferma la sua “superiorità” per ciò che concerne il calcolo, ma chi può fare la differenza sono sempre le menti umane che indirizzano le decisioni da prendere.
L’IA deve essere al servizio delle persone, garantendo una supervisione umana, prevenendo i rischi di inasprimento degli squilibri sociali e territoriali potenzialmente derivanti da un suo utilizzo inconsapevole o inappropriato. Occorre offrire a tutti la possibilità di informarsi e accrescere le proprie competenze in materia di IA, almeno per una conoscenza di base.
I sistemi dell’IA devono essere sviluppati in modo che rispettino, servano e proteggano l’integrità fisica e psichica degli esseri umani, il senso di identità personale e culturale e la soddisfazione dei bisogni essenziali.
Se vogliamo maggiore equilibrio e maggiore uguaglianza nella costruzione di algoritmi, che siano quindi più inclusivi e rispondano meglio alle caratteristiche e ai bisogni di tutta la popolazione, è necessario agire ora creando un movimento condiviso soprattutto fra le donne per indirizzare le sfide e cogliere le molteplici opportunità tenendo presenti i tanti ambiti in cui l’IA viene utilizzata.
Si ha quindi la conferma che la presenza femminile nella ricerca scientifica, con spirito critico intessuto di passione e coscienza, può veramente fare la differenza: occorre cogliere la sfida proposta ed elaborare nuove strade di innovazione trasparenti.
Le donne possono svolgere un grande ruolo contribuendo a plasmare lo sviluppo sociale, non solo nelle imprese, nei settori produttivi e nella Pubblica Amministrazione dove operano, ma anche dando il loro contributo nel processo di “alfabetizzazione di base” sull’IA grazie ad abilità adeguate in questo ambito.
Con il loro lavoro si può contribuire al cambiamento per combattere e sconfiggere gli stereotipi di genere e proporre impegno, competenza come valori di riferimento nei vari campi.
Un sondaggio su larga scala condotto da Pwc tra i lavoratori rivela differenze di genere nella percezione della domanda: spesso le donne considerano le competenze digitali, ma anche quelle legate alla transizione ecologica, meno importanti per la loro carriera. Esiste, e resiste, dunque un forte divario di genere nella percezione delle skill del futuro. E dunque, man mano che uomini e donne passano dalla scuola alla forza lavoro, i loro set di competenze continuano a essere modellati e valutati in modo diverso. l

*Vicepresidente APMARR