MORFOLOGIE 49 – Donne che curano, donne che resistono

Il valore femminile nei percorsi di malattia reumatologica

In questo numero di Morfologie dedichiamo uno spazio al valore umano, sociale e simbolico del ruolo femminile nei percorsi di cura, con uno sguardo particolare alle patologie reumatologiche e rare. Una guida verso una riflessione profonda e necessaria, arricchita dall’impegno quotidiano di realtà come APMARR, che restituiscono voce, dignità e prospettiva a tante donne che vivono ogni giorno l’esperienza della cronicità. Un racconto che intreccia dati, testimonianze e una rinnovata visione di medicina come relazione.

di Rosario Gagliardi*

C’è un volto che spesso accompagna silenziosamente il percorso della malattia, un volto che cura, accoglie, resiste: è quello femminile. Quando si parla di patologie croniche e complesse – come molte malattie reumatologiche e rare – è proprio la donna ad esserne frequentemente colpita. Ma non solo come paziente. Le donne sono anche madri, figlie, compagne, sorelle, infermiere, medici, attiviste: presenze fondamentali nel tessuto invisibile del prendersi cura.
Molte delle patologie reumatologiche sistemiche – dal lupus alla sclerosi sistemica, alla artrite reumatoide alla sindrome di Sjögren, alla fibromialgia – colpiscono in modo prevalente le donne, a volte fino a dieci volte più degli uomini. Eppure, questa prevalenza non si riflette ancora in una piena attenzione medica, sociale e culturale alle esigenze specifiche del vissuto femminile nella malattia.
Per molte donne, il confronto con una malattia cronica non cancella il ruolo di caregiver, ma lo complica. Anche nel pieno della sofferenza, continuano a occuparsi degli altri: dei figli, dei genitori anziani, della casa, del lavoro. È un doppio carico – fisico ed emotivo – che troppo spesso rimane invisibile, dato per scontato, non riconosciuto.
Molte pazienti raccontano anni di sintomi vaghi, di dolore invalidante, di stanchezza profonda. Raccontano diagnosi che arrivano tardi, dopo lunghi pellegrinaggi tra specialisti. Raccontano anche di non essere credute, di sentirsi dire che “è solo stress”, che “è nella loro testa”. Il dolore delle donne, si sa, è spesso sottovalutato.

“Quando finalmente mi hanno detto il nome della mia malattia, ho pianto. Ma non per la diagnosi: per il fatto che, dopo anni, qualcuno mi stava ascoltando davvero.” Claudia, 42 anni, paziente con sindrome di Sjögren, testimonianza raccolta da APMARR.
Ma è proprio da questa invisibilità che le donne hanno saputo reagire, trasformando la sofferenza in voce. Comunità online, blog, associazioni, gruppi di auto-aiuto: sono nate reti di solidarietà che oggi rappresentano veri e propri spazi di riconoscimento e autodeterminazione.
In questo scenario si inserisce il prezioso lavoro di APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, che da anni promuove l’ascolto, l’informazione, la tutela dei diritti e il supporto concreto alle persone – in gran parte donne – che convivono con queste patologie. Attraverso progetti di empowerment, advocacy e sensibilizzazione, APMARR ha dato voce a storie prima sommerse, portandole al centro del dibattito sanitario e culturale.
Il loro impegno è anche quello di stimolare un cambiamento nel modo in cui la medicina guarda ai pazienti: non più solo corpi da trattare, ma persone da ascoltare. In questo senso, il lavoro dell’Associazione si integra perfettamente con quella che oggi viene chiamata medicina narrativa, che riconosce nella storia individuale un elemento fondamentale del processo di cura.
Ciò che emerge con forza dai percorsi di malattia delle donne è il valore di una cura che non sia solo tecnica, ma anche relazionale. Curare non è solo prescrivere, ma essere presenti, riconoscere, accompagnare. La relazione, in questo senso, è parte integrante del processo terapeutico.
Le donne, spesso portatrici di un sapere affettivo, empatico, dialogico, incarnano naturalmente questo approccio. Non è un caso che molte delle operatrici sanitarie, delle attiviste, delle formatrici nei percorsi di educazione terapeutica siano donne: perché sanno cosa significa vivere la malattia da dentro, e trasformarla in risorsa.
Riconoscere il ruolo della donna nella cura – sia come paziente, sia come agente attivo del sistema – significa promuovere un cambiamento culturale. Significa smettere di considerare la malattia solo un fatto biologico, e iniziare a vederla come un’esperienza che coinvolge tutto l’essere: corpo, mente, relazioni, diritti.
In questo cambiamento, realtà come APMARR rappresentano un faro. Offrono strumenti, supporto psicologico, percorsi formativi, ma soprattutto creano comunità. E una comunità, per chi convive con una malattia cronica, è spesso la prima forma di cura.
Le storie delle donne che vivono queste malattie ci parlano di fragilità, ma anche di straordinaria forza. Sono storie che meritano ascolto, attenzione, spazio. Perché la guarigione – nelle patologie croniche – non è sempre possibile. Ma la qualità della vita sì. E in questo cammino, le donne non sono solo pazienti: sono protagoniste. l

*Founder & General Manager Formedica – Scientific Learning
Docente di Management Socio-Sanitario e Medicina Comunicazionale
Dipartimento Scienze Sociali ed Economiche, Università Sapienza Roma