MORFOLOGIE 50 – Codificata (dal certificato di esenzione), ma sconosciuta

LA TESTIMONIANZA

Codificata (dal certificato di esenzione), ma sconosciuta

Il patient journey di una persona con malattia reumatologica rara narrato da una delle ‘penne’ più prestigiose del giornalismo scientifico italiano. E la sua ricerca continua delle parole per raccontarla. Anche ai medici di.

Carla Massi*

Quando, l’impiegato della Asl, mi ha consegnato il tesserino che certificava la mia malattia rara non ho pensato a cosa sarei andata incontro. Sarà stato per superficialità o forse perché avevo in testa tanti dubbi e tante domande. Da pochi giorni mi era stata diagnosticata l’arterite giganto-cellulare con sintomi anche della Takayasu. Nonostante siano decenni che mi occupo, come giornalista, di salute, medicina e politica sanitaria, non avevo mai sentito parlare di queste patologie. “E già – dicevo tra me e me – sono rare…”. Dopo oltre due anni di visite e esami si era finalmente arrivati a dare un nome al mio dolore e alle mie analisi sballate. Puntualizzavano i medici: non è l’arterite di Horton classica dal momento che, nel mio caso, non riguarda la testa ma dall’addome in giù. Braccia comprese. Non avevo scelta, dovevo mettermi a studiare questo strano mix patologico. Dovevo, cioè, essere pronta a spiegare, a parole mie ma con estrema precisione scientifica, la malattia che mi accompagnava. Devo dire grazie alla dottoressa di base che, da subito, mi ha assicurato la sua vicinanza dicendomi che avrebbe cercato tutto quello che era a disposizione per seguirmi.  “Si tratta di vasculite – mi ripeteva – Un po’ complicata ma una vasculite. Ce la farai”. Piano piano sono riuscita a convivere con questa mia nuova condizione convinta che l’intera classe medica fosse preparata sull’argomento. Ma, mi sbagliavo. C’è voluto poco tempo per rendermi conto che dovevo essere io quella che sapeva e spiegava. Questa strana patologia. Per questo, mi sono messa a leggere, a trovare le parole giuste, a sottolineare alcune fragilità. Così, sono diventata, mio malgrado, una specialista in materia. Con pazienza ho imparato a far avvicinare la classe medica alla mia condizione. Più di una volta mi sono trovata davanti a perplessità e titubanze nel momento in cui chiedevo un consulto non reumatologico. Che sia di gastroenterologia o di ortopedia. Si può immaginare che non è piacevole fare la parte di quella che suggerisce al medico, che spiega. Gli anni, anagrafici e di malattia, mi hanno insegnato ad essere concisa nell’esposizione e affidabile nella descrizione della patologia. Dalla tipicità dei dolori, alla terapia immunosoppressiva. Che, ti aiuta a vivere, ma ti chiede di essere sempre in allerta. Soprattutto quando girano infezioni di ogni tipo. La mia fortuna, durante il Covid è stata avere una grande amica medico che, come ha saputo del mio tampone positivo, mi ha immediatamente fatto avere i farmaci antivirali. Non avevo dovuto spiegare nulla ed ero stata accudita con scienza, coscienza e cultura medica. Un bel ricordo. Il malato reumatico raro, insomma, si trova a vivere una doppia “strana” situazione. Primo perché ha una delle 150 patologie che conoscono bene solo gli specialisti e secondo perché l’esiguo numero non permette di attingere da un’ampia letteratura scientifica di livello. E quindi? Quindi, nello studio medico di un non addetto ai lavori, ti trovi a dover fare, ogni volta, una lectio magistralis sulla vasculite autoimmune. Quella che causa infiammazione dei vasi di grande e medio calibro (anche l’aorta e le sue ramificazioni). E, nella vita quotidiana, a parenti e amici, devi riuscire a spiegare quello che hai senza tediare troppo. Anche nei giorni in cui non riesci neppure a tenere le braccia alzate per lavare i capelli sotto la doccia. Ci si adatta a tutto, certo, ma quel tutto dei giorni è pesante e sembra far male più del solito. Se metto, però, il naso oltre il mio confine e parlo con chi ha malattie rare molto, ma molto più drammatiche e invalidanti (soprattutto tra i bambini), ridimensiono subito la mia storia e la trasformo in una diversità più o meno accettabile. E così, anche la lectio magistralis o le spiegazioni al medico che non sa, diventano poca roba. Una routine che lentamente entra nel quotidiano, nel corpo, nell’anima, nella realtà. Un percorso non facile. Perché se è complicato per un paziente reumatico spiegare la varietà dei suoi disturbi, si pensi quanto può essere, a volte surreale, partecipare l’arterite gigantocellulare con sintomi di arterite Takayasu. Ma credo che la nostra forza, di noi pazienti con malattie reumatologiche, sta proprio qui. Sta nel riuscire a superare le convinzioni collettive (“sono patologie solo degli anziani”) e insistere, senza lacrime.  Sta anche nel capire che spiegarci meglio al mondo può diventare parte della terapia quotidiana. Un’abitudine che diventa pasticche di benessere. E non un semplice sfogo.  Ho pensato questo un giorno in cui sudavo, sudavo (caratteristica dell’arterite), mi lamentavo, chiedevo di accendere l’aria condizionata e, chi era con me mi diceva che ero esagerata. Una scenetta di poco conto, una scenetta vissuta tante volte. Che mi ha esasperato talmente tanto da provare a sovvertire le regole. Battendomi, con ogni mezzo, per far sentire gli altri “sbagliati” e “rari”, e non noi che ci muoviamo male, che la mattina facciamo fatica a metterci in moto, che dobbiamo accettare di vivere una giornata sì e una no.

*Giornalista del quotidiano Il Messaggero