Seconda puntata della rubrica REUMAstories: la testimonianza di Raffaele Convertino, volontario di APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare).
Mi chiamo Raffaele Convertino, ho 45 anni e vivo a Fasano, in provincia di Brindisi. Era il 1978 quando ebbi i primi sintomi di quella che sarebbe stata la mia “Compagna di vita”. Un bel giorno, una brusca caduta mi fece rotolare per terra. Non era una caduta come tante, di quelle in cui si va a terra e poi ci si rialza più spensierati di prima, la mia infanzia stava per essere, infatti, violata dall’incontro diretto con la sofferenza. Iniziava così il mio viaggio nell’universo della malattia cronica.
Ho vagato a vuoto quattro anni prima di giungere, nel 1982, all’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano dove mi diagnosticarono un’artrite idiopatica giovanile.
Non potevo immaginare le conseguenze di quella che risuonava come una sentenza, troppo piccolo e immaturo per comprendere il significato di malattia cronica.
Ho assistito, rassegnato, alla trasformazione del mio corpo, giorno dopo giorno, e con esso anche all’immagine di salute che mi aveva accompagnato sino alla quinta elementare. Aver sperimentato la malattia in età infantile mi ha privato di quelle esperienze necessarie per lo sviluppo di una sana personalità. Tutta la mia infanzia e tutta la mia adolescenza le ho trascorse, infatti, negli ospedali. Ricoveri che duravano mesi, lontano dagli affetti, dai miei amici, dal mio paese. Ad un certo punto del mio viaggio nell’universo della patologia cronica sono entrato in una fase di negazione della stessa. Dopo il conseguimento della maturità commerciale ho attraversato, infatti, una fase di rifiuto della patologia e verso ogni forma di cura che è durato circa dieci anni. Mi rinchiusi in casa e mi inventai un’attività da poter svolgere senza dovermi spostare. Cominciai a scrivere al computer le tesi di laurea, mettendo su una specie di tipografia casalinga. Mi muovevo da una stanza all’altra col girello o usando la sedia da studio con le ruote. Solo alla sera ogni tanto uscivo e gli amici mi portavano in braccio. Ero pigro, non usavo quasi più i tutori per sostenere le gambe, rifiutavo l’idea della sedia a rotelle. Stavo diventando sempre meno autonomo al punto da non riuscire nemmeno a deambulare autonomamente. L’unica nota piacevole di quel “periodo di chiusura” erano i viaggi che mi concedevo durante l’estate come premio per il mio lavoro invernale ma sempre e comunque accompagnato da un membro della mia famiglia.
Quella fase caratterizzata dalla negazione della mia condizione cronica mi ha lentamente spinto in un guscio protettivo. In queste condizioni, forgiare una propria personalità e sviluppare un proprio ruolo sociale, ha comportato un lavoro su me stesso che continua ancora oggi.
A ventisei anni decisi di sposare un nuovo atteggiamento nei confronti della malattia e della vita. Sostenuto da questa nuova consapevolezza ho potuto affrontare nuove e avvincenti sfide. Nel 2002 mi sono sottoposto a quattro interventi di artroprotesi che mi hanno consentito di ritornare a camminare dopo quattordici anni di sedia a rotelle. Nel 2004 ho conseguito anche la patente di guida.
Oggi posso affermare che convivo serenamente con la mia artrite reumatoide. Non ho più paura di affrontarla. L’ho presa sottobraccio senza più abbandonarla, occupandomene con consapevolezza e responsabilità.
Nel mio presente sto vivendo una fase di crescita professionale, dopo essermi imbattuto in alcune esperienze lavorative non gratificanti. Il disagio che ne è scaturito mi ha spinto a rimettermi in gioco e a tracciare una strada che mi vede coinvolto a lavorare con le persone e per il loro benessere. Ho conseguito un master triennale in counseling scrivendo una tesi dal titolo “Il counseling per le persone in condizione cronica. La mia storia tra malattia e disabilità come opportunità di cambiamento”.
È con questo spirito che ho aderito ad APMARR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, proprio nel momento in cui ho sentito il bisogno di essere sostenuto e di condividere la mia esperienza con chi viveva le mie stesse problematiche, le mie stesse paure.
Lo scambio di esperienze tra pazienti, i congressi scientifici e le giornate informative e formative che l’associazione promuove, favoriscono una maggiore presa di coscienza di malattie che sono, a tutti gli effetti, un problema sociale, seconda causa di invalidità a livello nazionale dopo le malattie cardiovascolari. Ma oggi viviamo una nuova stagione.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo a una rivoluzione culturale che vede il paziente collocato al centro del processo terapeutico e lo stato della sua salute dipendere dall’efficacia dell’interazione con l’intero sistema della cura. Ma come associazione ci auspichiamo si arrivi all’idea di paziente CON, che sia co-costruttore di un modello di salute, insieme a tutti gli altri attori della cura.
Le mie passioni? Viaggiare, leggere libri gialli, saggi di psicologia, antropologia e counseling. Nel nuoto ho trovato lo sport che più si adatta alla mia patologia e che mi fa sentire libero e leggero. L’altra mia passione è la musica. Suono l’armonica a bocca perseguendo uno stile tutto mio. Insieme ad un mio amico abbiamo fondato un duo armonica e tastiera, i Leo&Raff e abbiamo iniziato ad esibirci in concerti live. Le altre mie passioni sono la scrittura e la comunicazione. Il mio prossimo obiettivo? Pubblicare un libro.
La malattia cronica, secondo il mio punto di vista, se da una parte ti priva della possibilità di fare alcune esperienze, dall’altra offre l’opportunità di viverne molte altre, diverse ed ugualmente intense.
Il mio motto è che ogni Limite è Opportunità, al punto che ho creato una pagina che si chiama “I limiti come opportunità” in cui condivido contenuti di counseling e motivazionali.
La Malattia è un’Opportunità, la Disabilità è un’Opportunità, la Sofferenza è un’Opportunità. Opportunità per Re-inventarsi, Ri-scoprirsi, Ri-adattarsi, Ri-generarsi. Sia chiaro, non siamo in presenza di una “magia” che coinvolge tutti indistintamente. Siamo tutti diversi ed ognuno di noi mette in atto strategie personali di sopravvivenza, le quali non sempre sono orientate al miglioramento di sé stessi, ma spesso sono finalizzate all’esatto contrario, cioè alla rassegnazione e all’autolesionismo.
La Vita con una patologia cronica non è affatto facile, è un viaggio in cui si incontrano molti ostacoli. Considerare la patologia in termini di sfida quotidiana, aiuta ad essere creativi e ad affrontare le difficoltà con un atteggiamento orientato alla soluzione, piuttosto che fermarsi a rimuginare sul problema. È quasi naturale che ci sia una ricaduta positiva sulla propria patologia e sulla propria qualità di vita. Molto dipende, però, dalle risorse personali che si riescono ad attivare durante la propria esperienza di Vita.
Secondo il mio punto di vista, la chiave di volta per vivere intensamente la propria Vita, nonostante la “scomoda inquilina”, è quella di avere il coraggio di chiedere aiuto quando da soli ci si sente sopraffatti e paralizzati dalla paura e poi, una volta diventati consapevoli della propria patologia, aprirsi al Mondo.