Ottavo appuntamento con la rubrica REUMAstories: la testimonianza di Mariella Piredda, referente APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) Regione Sardegna.
Mi chiamo Mariella, ho 44 anni e sono nata in una bellissima isola sarda, Sant’Antioco.
Da diversi anni convivo con una Malattia Rara degenerativa.
Mi piace chiamarla per nome: “Vasculite Sistemica Necrotizzante, Micropoliangioite”.
È la prima volta che mi racconto pubblicamente ma credo che ad un certo punto della nostra vita, arrivi il momento di condividere le nostre esperienze e il nostro vissuto. È un modo per dire alle altre persone che vivono esperienze simili siate forti, non arrendetevi, noi non siamo una malattia, siamo delle Persone! Ognuno di noi ha nel suo serbatoio di risorse tutte le energie e le capacità per superare gli ostacoli e le sfide che la vita ci presenta.
Ho scoperto questa patologia in giovane età. Il mondo si è fermato, perché la vasculite ha avuto un modo molto aggressivo nella sua presentazione. Nel giro di pochi giorni mi sono ritrovata ferma immobile in un letto di ospedale, non parlavo più e non riuscivo né a muovermi, né a parlare, per un breve periodo avevo perso anche la vista. Il mio corpo ha iniziato a trasformarsi, era completamente livido, gonfio e dolente e ho rischiato più volte l’amputazione degli arti sia superiori che inferiori. La morfina riusciva solo a stordire i miei pensieri, perché il dolore era davvero immenso, forte e indescrivibile. Credo di essermi oscurata non solo esteriormente ma nelle mie più profonde viscere. Come autodifesa mi ero costruita una bolla tutta mia, dove non permettevo a nessuno di poter accedere. Mi sentivo incompresa, perché nessuno nella sofferenza personale che vivevo in quel momento, aveva il coraggio di accettare ed affrontare la situazione, ma con un sorriso e con le solite frasi fatte, esorcizzavano ciò che mi stava capitando. Mi ero rinchiusa in un mondo mio, dove non ho lasciato spazio a nessuno, un mondo pieno di paure e di incertezze per il mio futuro e per ciò che mi stava capitando. Ho vissuto da vicino la morte più di una volta, e ho capito che fa parte del nostro lungo percorso di evoluzione. Quando si vivono certe esperienze è impossibile restare come prima, cambiano i nostri pensieri, i nostri valori e le nostre priorità. Si impara a vivere giorno dopo giorno, dando il massimo di noi stessi in tutto quello che facciamo. Non è semplice progettare e costruirsi nel caos e nell’incertezza, solo successivamente ho capito che la vita mi ha dato una grande opportunità di crescita.
Il primo medico che ho incontrato è stato il Prof. Binaghi e subito dopo il Prof. Alessandro Mathieu con la sua equipe alla Clinica Aresu di Cagliari, successivamente al Policlinico Universitario di Monserrato. Con i medici, nonostante il mio carattere polemico e molto frizzante, si è instaurato un grande rapporto di fiducia reciproca. Ammetto di non essere stata una paziente semplice, ho sempre preteso che non mi si nascondesse niente riguardo la mia patologia e le cure impegnative, spesso devastanti che mi hanno messo a dura prova. Insieme ai medici abbiamo progettato e costruito le terapie, nel mio caso spesso sperimentali. Nella mia esperienza di malattia mi ha aiutato tanto il non delegare a nessuno né le scelte e né i consensi informati per le terapie, compresi gli incontri con i medici.
Un ruolo importante lo hanno avuto anche gli infermieri e il personale sanitario, che sono stati all’altezza di gestire tutta la situazione nel migliore dei modi, a partire dai lunghissimi ricoveri fino ai tanti day hospital. Sono stati bravi nella ricerca disperata delle mie vene, ormai stanche di essere coinvolte, non bastavano più le braccia, hanno dato il loro supporto anche il collo e i piedi. Ho incontrato persone con una grande umanità, che hanno saputo non solo curare il mio corpo, ma con molta professionalità mi hanno donato affetto, comprensione, amore, empatia e tante tante coccole. È normale che nei percorsi così lunghi si incontrino anche persone poco professionali, ma credo che siano dei puntini neri in un mare di grande passione. Ho imparato a definire questi incontri ostacoli che la vita ci mette davanti al nostro percorso per farci capire che abbiamo tutte le capacità per superarli e soprattutto ci fanno capire quanto valore ha ognuno di noi. Non ho mai pensato di essere un semplice numero, mi sono sempre sentita una persona che stava attraversando dei momenti difficili, ma con grande dignità e nel rispetto dei miei doveri e dei miei diritti. Il mio primo ricovero è durato circa due anni, sono stati mesi molto difficili, sofferti ma di grande crescita personale. Ho convissuto con tante persone, ricordo che le camerate erano molto numerose, spesso ti affezionavi a chi ti stava accanto e subito dopo ti ritrovavi al loro fianco ad accompagnarle in ciò che io definisco un viaggio, cioè la morte. Nonostante gli esami invasivi e l’evolversi della malattia, ho avuto la fortuna di incontrare persone stupende che hanno lasciato nella mia vita dei ricordi indelebili a cui ancora oggi sono riconoscente. Ogni persona che ho incontrato ha contribuito alla mia crescita personale. Porto nel cuore ognuno di loro, ricordo le loro diverse patologie, la loro forza, il loro sorriso e la tanta voglia di vivere. Ognuno aveva la sua storia, il suo vissuto. Io mi soffermavo spesso ad ascoltare le persone, le loro storie di vita e le loro sofferenze.
Una persona che porto nel mio cuore in modo particolare è Rita, credo mi abbia contagiato la sua enorme voglia di vivere. Mi ha accompagnata nella mia grande evoluzione interiore di amore, mi ha fatto riscoprire l’andare oltre la mia malattia, la valorizzazione della mia persona e soprattutto mi ha fatto sentire amata e mi ha insegnato ad accettarmi così come ero in quel momento. Ancora oggi, nelle mie esperienze di vita, continuo a sentire le sue parole. Ora fa parte di tutte quelle persone che io definisco pura energia che sento accanto a me tutte le volte quando sono un po’ scoraggiata. Sono consapevole che la vita mi ha tolto, ma in realtà credo che mi abbia davvero restituito il centuplo.
Successivamente la malattia si è evoluta, si è ramificata in diversi organi, le emorragie si sono trasformate in grandi e profonde ulcere in tutte le zone del mio corpo. Sono arrivata ad avere anche 40 ulcere che ancora oggi vedo attraverso le grandi cicatrici. Un’altra batosta! Accettare il proprio corpo segnato indelebilmente dal dolore non è semplice, bisogna davvero lavorare tanto interiormente per sorridere alle tante domande e agli sguardi imbarazzanti che le persone ti fanno. Ho provato tanti farmaci, perché per la mia patologia non ci sono ancora delle cure specifiche. Prima di firmare un consenso informato, lo leggevo per giorni, riflettevo, mi confrontavo con i medici e poi mi assumevo la responsabilità della decisione. Sono passata dal cortisone alla salazopirina, dalla ciclosporina alle infusioni di immunoglobuline, dalla Talidomide alla morfina e alla ciclofosfamide fino ad arrivare ai farmaci biologici. Ho perso più volte i capelli, in altri casi invece mi è cresciuta anche molta peluria in faccia e ho subito tantissimi interventi, credo di averne perso il conto. Perdere i capelli è un dolore profondo, perdi qualcosa che fa parte di te, si soffre tantissimo, ma poi ricrescono, belli e più forti di prima. Ho lavorato tanto su me stessa, non solo per il mio fisico ma anche per la mia psiche.
Ho sempre pensato che noi siamo degli esseri pieni di luce, abbiamo solo paura di brillare. Ci vuole coraggio a cercare la felicità e a scacciare il pessimismo. Io ho scelto di andare oltre la mia malattia, di essere felice sempre nonostante tutto! Mi sono presa del tempo con spazi di psicoterapia, ho scoperto e dialogato con il mio inconscio, spesso quando per diverse situazioni non potevo utilizzare i farmaci antidolorifici ho utilizzato l’ipnosi per affrontare i miei dolori e le medicazioni delle mie ulcere. Ho sempre pensato che non possiamo curare solo il nostro fisico ma è importante contemporaneamente prenderci cura anche della nostra psiche, della nostra anima. Ho dovuto inventarmi più volte un nuovo modo di convivere con la mia patologia, ho stravolto equilibri consolidati dal tempo. Ho capito che, anche se malata, sono ancora una donna, una mamma, una compagna. Ecco, questa è la differenza tra “cura” e “prendersi cura”. Le persone con Malattie croniche e Rare sanno cosa significa vagare da un ospedale all’altro alla ricerca di una “cura” che possa farli stare meglio. E quanti di noi hanno incrociato medici che conoscono poco o nulla le varie patologie, ma che tuttavia emettono sentenze (vedi i medici delle varie commissioni per l’handicap). Medici che non “ti ascoltano”, che ti parlano senza guardarti in faccia, chini sul foglio che hanno davanti, come se la persona presente non è un essere umano con la propria dignità. Medici che non danno importanza ai sintomi che descrivi, che non capiscono che cosa stai dicendo perché, come ho detto prima, “non ascoltano”. Inoltre, o vai a pagamento, e non tutti possono permetterselo, oppure, in molti centri, non sei seguito sempre dallo stesso medico, dipende da chi in quel momento è di turno in ambulatorio, così passi da una mano all’altra. Io riguardo quest’ultima riflessione posso ritenermi molto fortunata. Ho trovato nel mio centro una seconda famiglia, un grande punto di riferimento.
Credo sia fondamentale e importante poter contare sempre sulla stessa persona, sullo stesso medico, che “prende in cura” l’ammalato nella sua totalità, che quando la malattia attacca un organo che prevede l’intervento di altri specialisti, si preoccupa di parlare con loro per renderli partecipi della situazione generale. Il medico diventa il tuo punto di riferimento, reperibile quando sorgono complicanze o si hanno attacchi particolarmente forti della malattia. Perché il prendersi cura, la fiducia che si instaura fa sempre la differenza, credo che siano le basi fondamentali affinché “la cura” sia efficace, affinché si viva l’aderenza terapeutica, perché anche nella cura c’è il cuore. Anche la cura più efficace ha bisogno di Amore. Tutti noi abbiamo bisogno di amare e di essere amati.
Oggi posso dire che sono una persona diversa, pronta ad accogliere sempre i miei cambiamenti, pronta ad accogliermi ed accettarmi così come sono. Credo che ogni cicatrice racconti un periodo della mia vita, mi piace guardarle e in ognuna di essa vedo il superamento dei miei limiti. Sono molto felice perché ho ripreso a studiare: Psicologia, Comunicazione, Coaching.
Da circa due anni ho avuto nella mia vita una bella sorpresa: ho incontrato l’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APMARR! È stata una bella scoperta. Mi ha colpito molto la loro Mission, mettere sempre al centro la Persona e non la Malattia. Attraverso di loro sono diventata Referente dell’associazione per la Regione Sardegna. Dare voce alle persone, accompagnarle in questo percorso, tutelare i loro diritti, credo sia il desiderio più profondo che avevo nel mio cuore. In questi anni ho fatto tesoro di tutte le esperienze vissute, credo che ognuno di noi possa donare alle altre persone solo ciò che ha vissuto e ciò che ha. Ecco sono pronta a donare la mia esperienza e il mio contributo per dare un sorriso a tutte quelle persone che la vita mi farà incontrare.
Mariella Piredda, referente APMARR Regione Sardegna
Testimonianza_Mariella_Piredda.pdf