Cos’è la Spondiloartropatia Giovanile. Cause. Sintomi. Ruolo del Pediatra. Il dolore. Confronto con la malattia nell’adulto. La diagnosi. Esami radiologici. Evoluzione. Cura. Farmaci
A cura di Cesare Betti
Cosa è la Spondiloartropatia Giovanile
Si tratta della spondiloartropatia giovanile, nella quale gli anticorpi che dovrebbero proteggere dalle infezioni, aggrediscono le cellule e i tessuti dell’organismo, causando processi infiammatori a volte anche seri. Nonostante non sia tra le malattie più frequenti, ha un grande impatto sociale altamente invalidante, soprattutto quando colpisce un bambino, sia perchè ha un’aspettativa di vita più lunga di un adulto, sia perchè coinvolge anche i familiari.
La spondiloartropatia giovanile fa parte di un gruppo di malattie infiammatorie croniche non infettive delle articolazioni e dei punti di intersezione dei tendini nelle ossa (detta entesite). Più spesso, interessa gli arti inferiori e, in misura inferiore, il bacino e le articolazioni della colonna vertebrale, si riscontra più di frequente nei maschi e ha inizio intorno ai 10-15 anni. La malattia non si sviluppa nello stesso modo in tutti i bambini. In alcuni, ha una durata breve ed è di lieve entità, mentre in altri può essere più seria e causare importanti limitazioni dei movimenti.
Quali sono le cause della malattia?
Le cause e il meccanismo che scatenano la malattia non sono ancora note e per questo motivo la malattia non si può prevenire, spiega Francesco Zulian, docente di reumatologia pediatrica all’Università degli studi di Padova. Tuttavia, come in altre forme di artrite cronica giovanile, il meccanismo che provoca il disturbo comprende sia alterazioni del naturale sistema di difesa dell’organismo sia fattori ambientali quali infezioni batteriche o virali.
La spondiloartropatia si può associare ad alcuni tipi di infezione, come quelle dell’apparato intestinale, genitale, urinario o della pelle. Alcuni germi, come Salmonella, Shigella, Yersinia, Campylobacter e Clamidia, possono avere un ruolo importante nello scatenare l’artrite in alcuni bambini.
Inoltre, molti pazienti con spondiloartropatia giovanile possiedono l’antigene HLA-B27 che è un fattore predisponente. Tuttavia, ciò non significa che tutte le persone che hanno questo fattore genetico svilupperanno la malattia.
Quali sono i sintomi più frequenti?
I sintomi più comuni sono dolore e tumefazione alle articolazioni, che causano una ridotta mobilità, riprende Francesco Zulian. Molti bambini che sviluppano la forma cronica possono avere coinvolte anche 5 o più articolazioni.
In genere, la spondiloartrite interessa inizialmente gli arti inferiori, soprattutto ginocchia, caviglie, dorso del piede o anche. Meno frequentemente coinvolte sono le piccole articolazioni del piede. Più raramente, invece, interessa gli arti superiori, in particolare le spalle.
Il ruolo del pediatra
La pediatria di famiglia è il primo punto di riferimento per mamma e papà, in quanto capace di cogliere i bisogni della popolazione infantile e dei loro genitori. Per questo motivo, sono sempre più numerosi i pediatri che cercano di individuare e di riconoscere subito i sintomi di queste malattie, troppo spesso ancora misconosciute in età pediatrica. I nostri obiettivi fondamentali sono quelli di attuare una rete integrata tra pediatria di base e specialisti in reumatologia, nella quale offrire percorsi agevolati di accesso alle strutture per garantire cure moderne ed efficaci, puntualizza Giuseppe Mele, presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri. Soprattutto vogliamo creare sedi di eccellenza per indirizzare i piccoli malati nei centri regionali dove potranno ricevere trattamenti in grado di cambiare il futuro e la qualità della loro vita da adulti, grazie anche ai farmaci biologici di nuova generazione.
Quando compare dolore
Il dolore è tra i primi segni a comparire. Il dolore pediatrico, in particolare quello di tipo lieve e moderato, è un fenomeno abbastanza frequente nei più piccoli fin dai primi mesi di vita. Si tratta di una condizione complessa, che va affrontata formando e sensibilizzando i pediatri attraverso corsi di formazione, e convincendoli a credere in quello che dicono i bambini.
Fondamentale nel riconoscimento e nella valutazione dell’intensità del dolore pediatrico è un’accurata visita, ascoltando ogni cosa che il bambino racconta e, soprattutto, l’esperienza del pediatra, dichiara Maria Giuliano, referente nazionale della Federazione Medici Pediatri per la terapia del dolore e le cure palliative in pediatria. Sono numerosi gli ostacoli che ancora esistono nel trattare in modo adeguato il male, primo fra tutti una barriera culturale, secondo la quale la maggior parte della comunità scientifica riteneva fino a non molto tempo fa che un bambino non provasse dolore, precisa Giuseppe Mele.
È importante invece sensibilizzare i medici sul fatto che il bambino non prova soltanto dolore, ma che, a parità di stimolo, più è giovane di età, maggiore è la sua percezione. Gli strumenti esistono e sono molto preziosi, riprende Maria Giuliano. Si va dalla possibilità di eseguire un’anamnesi con il sistema PQRST (individuazione del dolore rispetto alla “Provocazione”, “Qualità”, “Irradiazione”, Severità” e “Tempo”), per arrivare alle scale di valutazione che si basano sulla descrizione che il bambino, da solo o con l’aiuto di una persona vicina a lui, riesce a dare del dolore.
A queste si aggiungono poi altri metodi che valutano la frequenza cardiaca e respiratoria, la pressione arteriosa, la sudorazione del palmo delle mani, fino alla riduzione della saturazione transcutanea di ossigeno.
La malattia è diversa da quella dell’adulto?
Sotto certi aspetti, la spondiloartropatia giovanile è diversa da quella dell’adulto, puntualizza lo specialista. All’inizio, sono le articolazioni delle gambe a essere più spesso interessate, mentre nell’adulto è la colonna lombare a essere la più colpita. Inoltre, nei bambini, sono spesso coinvolte le anche, conclude Francesco Zulian.
Come viene posta la diagnosi?
Si fa diagnosi di spondiloartropatia giovanile se l’esordio della malattia avviene prima dei 16 anni, i disturbi durano da più di 6 settimane, l’artrite coinvolge le articolazioni dello scheletro assiale (articolazioni sacro-iliache o articolazioni della colonna lombo-sacrale) o dello scheletro periferico (soprattutto le grandi articolazioni degli arti inferiori), si accompagna a infiammazione a livello delle inserzioni dei tendini o dei legamenti (cosiddetta entesite), vi è negatività dei test di laboratorio per la determinazione del fattore reumatoide e degli anticorpi antinucleo e vi una forte base genetica, in massima parte legata alla presenza dell’HLA-B27, spiega Angelo Ravelli, professore associato di pediatria generale e specialistica all’Università di Genova. Pur non avendo valore diagnostico, altri esami del sangue, come la VES (velocità di eritrosedimentazione) o la PCR (proteina C-reattiva) sono di notevole aiuto nella gestione della malattia.
Entrambi i test indicano il grado di infiammazione e sono, quindi, utili per seguire l’andamento della malattia, anche se la valutazione del decorso clinico si basa sui sintomi più che sulle analisi di laboratorio, continua Angelo Ravelli. Gli esami del sangue, in particolare l’emocromo, nonchè i principali indici di funzionalità di reni e fegato, sono di aiuto per controllare i possibili effetti collaterali dei farmaci.
E gli esami radiologici sono utili per scoprire la malattia?
Le metodiche d’immagine hanno lo scopo di individuare la presenza di segni di infiammazione nelle articolazioni colpite, di seguire l’evoluzione della malattia e di identificare precocemente l’eventuale danno alle articolazioni causato dalla malattia. In particolare, la TAC e la RMN sono molto importanti per valutare l’interessamento dell’articolazione sacro-iliaca. Nel bambino, la RMN è considerata più sensibile rispetto alla TAC, oltre ad avere il vantaggio di non esporre a radiazioni ionizzanti, puntualizza il docente genovese.
Qual è l’evoluzione a lungo termine?
Il decorso varia da paziente a paziente. In alcuni bambini, soprattutto nei più piccoli, la malattia si manifesta con un’artrite limitata alle grandi articolazioni degli arti inferiori, spesso associata a entesite, e va incontro a remissione in un periodo più o meno lungo con la terapia farmacologica. In altri, l’artrite inizia coinvolgendo le articolazioni dello scheletro periferico, ma si estende, con il passare degli anni a quelle dello scheletro assiale e assume un decorso cronico e potenzialmente erosivo. In un ulteriore sottogruppo di bambini, di solito più grandicelli, la flogosi articolare si manifesta fin dall’inizio a livello delle articolazioni assiali e assume un decorso aggressivo, paragonabile da subito a quello della spondilite anchilosante dell’adulto. In tutte le forme cliniche, l’andamento della malattia è spesso contrassegnato da un’alternanza di fasi di remissione e di riaccensione, sottolinea Angelo Ravelli.
Grazie alle nuove cure, soprattutto ai farmaci biologici, il decorso della malattia è migliorato notevolmente negli ultimi dieci anni. L’associazione tra il trattamento con i farmaci e quello riabilitativo è in grado di prevenire il deterioramento delle articolazioni in gran parte dei pazienti. Tuttavia, ci sono ancora casi in cui la spondiloartropatia diventa cronica e il danno alle articolazioni può limitare le attività di tutti i giorni e influire più o meno notevolmente anche sui rapporti con le altre persone, conclude lo specialista.
Ecco come si curano
Il primo problema da affrontare riguarda il dolore, precisa Giovanni Lapadula, specialista in reumatologia all’Università di Bari. Per questo motivo, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono tra i primi a essere usati, soprattutto nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile. Inoltre, in alcuni casi selezionati (per esempio, nelle forme che interessano più articolazioni), può essere prescritta una cura a base di cortisone per brevi periodi.
Quando invece l’artrite interessa soltanto un’articolazione, ottimi risultati si hanno con l’infiltrazione di cortisone a lento rilascio direttamente nell’articolazione malata. In questo modo, il principio attivo svolge la sua attività solo nella sede dell’infiammazione e viene scarsamente assorbito dall’organismo, così che i suoi effetti sul resto del corpo sono praticamente nulli, riducendo notevolmente l’uso di altri farmaci.
Gli altri farmaci
Spesso, per una corretta cura, si deve anche tenere sotto controllo la reazione autoimmune a carico delle articolazioni. Per fare questo, spiega Giovanni Lapadula, si possono usare i farmaci di fondo immunomodulanti, dei quali il più utilizzato è il metotrexate. Il principio attivo viene somministrato per bocca o per iniezione una volta alla settimana ed è praticamente privo di effetti collaterali importanti.
In alcuni bambini, a volte il farmaco può provocare nausea e un momentaneo aumento dei valori delle transaminasi, che tuttavia si normalizzano rapidamente riducendo la dose di farmaco da somministrare. Per ridurre leggermente la comparsa di questi problemi, si può ricorrere alla somministrazione di acido folico il giorno seguente.
In caso di mancata risposta al metotrexate, vengono ampiamente utilizzati i farmaci biologici, continua Giovanni Lapadula. Si tratta di sostanze prodotte in laboratorio con metodiche di ingegneria molecolare in grado di inattivare l’azione delle sostanze infiammatorie messe in circolo durante la malattia, come il TNF (Tumor Necrosis Factor) o l’IL1 (l’interleuchina 1). Si somministrano per iniezione (sottocutanea oppure endovenosa), sono ben tollerate e rappresentano una cura molto importante per tutti quei bambini che non sono in grado di trarre sufficienti benefici dai trattamenti iniziali.