Un’indagine APMARR – Università Cattolica evidenzia le carenze in questi servizi riscontrate dai pazienti. L’associazione chiede di potenziarne l’offerta così da realizzare un’assistenza integrata
È stata tra le protagoniste della pandemia, contribuendo ad evitare quel «default» dell’assistenza sanitaria che soprattutto durante la «chiusura» del Paese era temuto. La telemedicina, e le soluzioni di sanità digitale in generale, hanno mostrato tutte le loro potenzialità ma anche le debolezze di un sistema sanitario che non è ancora stato in grado di portarle a pieno regime. La conferma arriva da uno studio condotto da EngageMinds Hub, Centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica (engagemindshub.com), su un campione di 450 pazienti reumatologici. L’indagine è stata promossa da Apmarr – Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare – in occasione della Giornata mondiale delle malattie reumatiche che si è celebrata il 12 ottobre scorso.
Prenotazioni online e FSE
Cosa raccontano i dati? Negli ultimi dodici mesi, il 38% di chi ha risposto non ha mai o quasi mai potuto prenotare una visita specialistica o di controllo online; e ben il 40% non è riuscito mai o quasi mai a trovare tutti i dati, le informazioni e i documenti di cui aveva bisogno nel suo Fascicolo sanitario elettronico. Nonostante Covid-19 e la presunta spinta alla medicina digitale, al 69% degli intervistati non è capitato mai o quasi mai di poter effettuare una visita con il medico di base tramite videochiamata (ad esempio su Skype o Zoom). Solo il 6% dichiara all’opposto di averlo fatto sempre. Identica situazione (69%) nel caso delle visite con il proprio specialista. Eppure ben il 31% del campione lamenta di non aver potuto mai o quasi mai accedere ad un ambulatorio specialistico vicino a casa e il 43% dichiara di non aver mai o quasi mai avuto tempi di attesa brevi per
essere visitato da uno specialista (come ad esempio il reumatologo). «Oggi l’assistenza territoriale integrata in reumatologia non esiste e gli aspetti strutturali e di sistema sono il primo problema da risolvere per gli oltre 5 milioni di italiani con malattie reumatologiche, per favorire la diagnosi precoce ed aumentare le prospettive terapeutiche», sottolinea Antonella Celano, presidente di Apmarr. «La nostra ricerca ha dimostrato chiaramente come le 3T (Territorio, Telemedicina e Tecnologia) sono il vero tallone d’Achille delle cosiddette reti assistenziali reumatologiche regionali». Le sorprese sulla medicina digitale, tuttavia, non finiscono qui. Perché dall’indagine è emerso anche altro: la possibilità di effettuare una televisita, sia con il medico di medicina generale sia con lo specialista, viene ritenuta in media non prioritaria. E, comunque, le esperienze registrate non sono state particolarmente positive.
Televisita
«La ricerca mostra come la maggior parte dei pazienti reumatici intervistati denunci forti necessità di miglioramento in diversi ambiti dell’assistenza sanitaria — dice Serena Barello, ricercatrice presso l’EngageMinds Hub — . I problemi manifestati sono spesso di base e accompagnati da una priorità elevata, tanto da oscurare una modalità avanzata quale quella digitale. Questo vale soprattutto per le persone che vivono la propria malattia passivamente, con difficoltà, che cioè secondo il linguaggio della psicologia della salute hanno un basso livello di engagement». L’engagement, ovvero, il livello di coinvolgimento attivo dei pazienti è stato oggetto di ulteriore approfondimento. «Su questo tema abbiamo lavorato molto in questi anni. E da tempo abbiamo validato una scala (PHE-scale), cioè uno strumento in grado di misurare quanto un paziente sia pienamente consapevole della propria malattia e quanto possa attivamente concorrerne alla cura attraverso i propri atteggiamenti e comportamenti», spiega Guendalina Graffigna, ordinario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di EngageMinds Hub. I ricercatori della Cattolica hanno applicato la PHE-scale al campione di persone interessate da malattie reumatiche e ne è emerso che ben oltre la metà (il 58%) mostra un livello di engagement soddisfacente, perché ha sviluppato un buon adattamento alla propria condizione patologica (il 51%) o addirittura ha raggiunto la piena condizione di coinvolgimento attivo (7%). Quando però si entra nel dettaglio, le priorità di assistenza mutano a seconda della «fisionomia» di engagement. Così nei pazienti in «blackout», ovvero tra coloro che si trovano psicologicamente schiacciati dalla propria malattia e incapaci di agire autonomamente, praticamente tutti i fattori di assistenza integrata vengono percepiti come importanti e allo stesso tempo carenti nella propria esperienza. Situazione che cambia negli stadi intermedi della PHE-scale di «allerta» e di «consapevolezza» per quasi capovolgersi nei pazienti in «equilibrio», dove la gran parte delle istanze di assistenza sono sempre viste come importanti ma vissute positivamente: fanno eccezione quegli aspetti più strutturali e di sistema che rappresentano il vero problema della totalità dei cittadini affetti da malattie reumatiche.
Il modello
«L’accentuata difformità nell’ordine delle priorità di cura da parte dei pazienti in funzione del proprio stato di engagement è importante proprio nella elaborazione di un modello di assistenza territoriale; ovvero l’obiettivo che si è posta Apmarr con questo progetto di ricerca», rimarca la professoressa Graffigna. «Perché risulta evidente come questo modello dovrà essere articolato e declinato proprio in funzione di come il paziente si mostri coinvolto attivamente o meno nel proprio progetto terapeutico. Provo a fare un esempio: attivare strumenti di medicina digitale si rivelerà superfluo o, peggio, controproducente in pazienti in “blackout” che hanno ben altre priorità; mentre risulterà proficuo in malati molto ingaggiati, che anzi vedranno in una app o in un collegamento di telemedicina una via stimolante per accrescere il proprio engagement». Secondo Antonella Celano, dunque «c’è la necessità, grazie anche alle ingenti risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinate al rafforzamento della sanità italiana, di costruire un modello di assistenza territoriale integrata per la reumatologia italiana basato sulla sanità d’iniziativa, nel quale è il medico di medicina generale ad attivare il network di cura sulla base dei reali bisogni del paziente. Una sanità che va quindi verso il paziente, rispetto al modello attuale che lo
aspetta in ospedale.
Al via una campagna di “alfabetizzazione sanitaria”
Gli Stati Generali delle malattie reumatologiche sono l’obiettivo al quale punta APMARR. “Dobbiamo mettere a punto un gruppo di lavoro unico e a questo punta il progetto “Essere 3T in reumatologia: Telemedicina, Territorio, Tech”. Reumatologi, medici di medicina generale, farmacisti, associazioni pazienti, Regioni e Governo uniti tutti insieme per utilizzare al meglio i fondi del Pnrr a favore delle persone con malattie reumatologiche e rare” dice Antonella Celano. La digital health è uno dei pilastri del progetto ma per poterla sfruttare al meglio occorre anche un’alfabetizzazione specifica oltre a quella sanitaria più in generale. Per questo l’associazione ha deciso di realizzare una campagna integrata di comunicazione, ideata e prodotta da Lorenzo Marini Group, con la partecipazione strategica di Axess Public Relations. la campagna “#diamoduemani21” è un progetto multimediale e multicanale. Al centro, lo spot “Free rope” che racconta la malattia attraverso immagini e fotografie.