Più farmaci ospedalieri in distribuzione diretta ma l’home delivery stenta a decollare

Si amplia la gamma dei farmaci ospedalieri che possono essere distribuiti direttamente dalle farmacie territoriali. È questo uno degli effetti prodotti dalla conversione in legge – il 18 luglio scorso – del decreto Rilancio (n. 34/2020) e dell’applicazione del decreto Liquidità (n. 23/2020), riferiti all’ambito della distribuzione farmaceutica. Stando alla norma, la modalità attuative devono essere definite con un decreto del Ministero della Salute ma a partire dal 1 ottobre le Regioni e Province autonome potranno distribuire in convenzione (ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a, del decreto 347/2001) i medicinali ospedalieri la cui dispensazione al paziente è oggi normalmente a carico delle aziende sanitarie del Ssn.

Serve una determina Aifa

Spetta però all’Aifa individuare i farmaci ospedalieri che potranno essere distribuiti in farmacia, attraverso un’apposita determina da produrre entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione. L’Aifa deve anche indicare i farmaci soggetti a registro di monitoraggio da inserire nei Piani terapeutici. Per la legge, inoltre, le aziende sanitarie possono assicurare l’erogazione diretta dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale nonché “disporre (…) che la struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci, limitatamente al primo ciclo terapeutico completo, sulla base di direttive regionali, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale”.

Gli effetti sul supporto domiciliare

La speranza è che con l’entrata in vigore delle norme si faccia un po’ d’ordine sulle modalità di erogazione del supporto domiciliare ai pazienti cronici, fragili, disabili etc. Il decreto Rilancio prevede sia l’aumento di spesa per il personale dedicato (articolo 1, comma 4) che l’avvio di sperimentazioni nel biennio 2020-2021 (comma 4-bis) relative a strutture di prossimità per la promozione della salute e per la prevenzione, nonché per la presa in carico e la riabilitazione delle categorie di persone più fragili, “ispirate al principio della piena integrazione socio-sanitaria, con il coinvolgimento delle istituzioni, del volontariato e degli enti del Terzo settore senza scopo di lucro. I progetti proposti devono prevedere modalità di intervento che riducano le scelte di istituzionalizzazione, favoriscano la domiciliarità e consentano la valutazione”.

L’home delivery dei farmaci

Soprattutto in tempi di Covid, tra gli elementi qualificanti dell’assistenza al domicilio figura senz’altro la consegna dei farmaci (home delivery) a casa dei pazienti più bisognosi, fragili e magari soli, realizzata grazie anche agli sforzi dell’industria farmaceutica. Un esempio è “UCB@casa”, servizio di consegna del farmaco a domicilio dedicato alle persone in difficoltà a raggiungere la farmacia ospedaliera, in trattamento per artrite reumatoide, spondiloartrite assiale, artrite psoriasica e psoriasi a placche o per la narcolessia. Tale servizio, completamente gratuito in tutta Italia e gestito da un provider esterno all’azienda, attivo momentaneamente fino al 31 agosto 2020, è pensato anche per ridurre la concentrazione di utenti presso le strutture, limitando così il rischio di contagio.

Le criticità rilevate

Nonostante mai come ora sia alta l’attenzione del legislatore e delle autorità sanitarie sull’importanza dell’assistenza territoriale, c’è ancora molta riluttanza ad accogliere e innescare i servizi domiciliari concepiti ed erogati da soggetti privati, senza spese aggiuntive per il Ssn né aggravi di tempo e risorse per la filiera distributiva e i farmacisti. Una riluttanza che si scarica fatalmente sui malati cronici e in particolare sui pazienti reumatici italiani (circa 700 mila) – come fa sapere l’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr Aps) – molti dei quali peraltro ricorrono a farmaci biologici per il cui stoccaggio e distribuzione è anche indispensabile rispettare la catena del freddo, che i servizi di home delivery garantiscono e certificano fino alla porta del paziente. Stando a quanto segnala l’associazione, l’home delivery è stato sì adottato ma tra mille difficoltà legate a una babele di iniziative, differenze regionali e evidenti resistenze da parte di istituzioni, farmacisti e medici, testimoniate dai pazienti sparsi per l’Italia.

Differenze regionali

Alcune regioni (es. Emilia Romagna) avrebbero respinto il supporto privato per non correre il rischio di disparità di servizio tra pazienti in terapia con farmaci diversi. Altre regioni si sono organizzate in autonomia con la Croce Rossa, altre ancora allestendo in proprio forme di distribuzione diretta o per conto (Dpc). E poi ci sono farmacisti che non hanno sposato l’iniziativa erroneamente temendo oneri aggiuntivi alle attività quotidiane. Quanto ai medici, che pure avrebbero dovuto segnalare ai pazienti l’esistenza del servizio, sono stati spesso impossibilitati a farlo, essendosi rarefatti i contatti con i malati per la chiusura degli ambulatori o per l’assegnazione degli stessi specialisti a reparti Covid. Per tacere del rinnovo automatico dei piani terapeutici.

Le reazioni dei pazienti

Nonostante ciò, il gradimento da parte di pazienti che hanno potuto godere del servizio è stato unanime. Le difficoltà organizzative però hanno segnato il percorso. Conferma Antonella Celano, presidente di Apmarr: “Nel periodo Covid abbiamo cercato di dare informazioni più dettagliate possibili ai nostri associati e chiesto a tutte le aziende di comunicarci se avessero attivato o meno le consegne a domicilio. Non tutte hanno risposto ma quando ce ne siamo resi conto; che alcune Regioni si stavano organizzando in proprio e quindi che l’home delivery non dappertutto funzionava abbiamo tagliato la testa al toro, firmando un protocollo con un’associazione di volontari (Angeli in moto, n.d.r.) che si impegnava a ritirare i piani terapeutici, andare in farmacia prendere il farmaco e portarlo al paziente. Siamo partiti un po’ tardi ma l’iniziativa è ancora utile e attiva: oggi chiunque passi davanti a una farmacia ospedaliera o una farmacia di Asl trova ancora tanta coda e assembramenti, nonostante le raccomandazioni”.

L’appello di Apmarr

L’appello di Antonella Celano, a favore dei malati, è quindi rivolto alle istituzioni: “Se le aziende farmaceutiche offrono il servizio ci piacerebbe che le Regioni lo accogliessero o quantomeno si organizzassero per darlo a domicilio. Oppure attivando la distribuzione per conto, rendendo i medicinali disponibili nella farmacia sotto casa. Con la paura del virus abbiamo avuto pazienti che hanno interrotto la terapia. Alcuni perché, non potendo accedere a follow up e quindi sottoporsi a visite di controllo, non erano tranquilli a usare il farmaco biologico”. L’home delivery può avere dunque un riflesso diretto sull’aderenza terapeutica e la farmacovigilanza. Dalle informazioni raccolte da Apmarr risulta anche che – in assenza di supporto domiciliare – molti pazienti ritirano il farmaco in ritardo e ne effettuano la somministrazione non rispettando le indicazioni dello specialista e le modalità di assunzione corrette.

Oltre l’emergenza Covid-19

“L’importanza della consegna domiciliare dei farmaci – conclude la presidente Celano – è emersa prepotentemente in occasione della pandemia ma va ben oltre questa, se si considera ad esempio che spesso le farmacie ospedaliere non sono vicine alla residenza, costringendo i pazienti o i loro caregiver a frequenti spostamenti, oppure a prendere permessi al lavoro”. Inoltre, sempre dalle segnalazioni pervenute ad Apmarr (che intende raccoglierle in una survey dedicata), risulta che dopo l’emergenza, alcuni servizi allestiti dalla Croce Rossa e dalla Protezione Civile già non sono più disponibili oppure funzionano solo su prenotazione, il che li rende poco fruibili per il paziente cronico.

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