Giacomina Durante, Consigliere Nazionale APMARR, ha raccontato le difficoltà a cui un cittadino deve andare incontro ogni giorno per potersi fare delle semplici analisi del sangue, e la conseguente “guerra tra pazienti” che ne scaturisce. La sua esperienza è avvenuta presso un ospedale di Cosenza, ma la sua storia, purtroppo, rispecchia quella di molte strutture in tutta Italia. Il 18 novembre la lettera è stata pubblicata sul giornale “Il Quotidiano del Sud” nella rubrica curata dalla giornalista Annarosa Macrì, la cui risposta verrà riportata dopo la lettera di Giacomina, e lancia un appello al presidente della Calabria Roberto Occhiuto.
“Qualche giorno fa, come faccio sempre più o meno ogni tre mesi, sono andata a farmi le analisi del sangue all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Sono un’habituè del luogo. Vado sempre là. Credo nel Servizio Sanitario Pubblico. Blatero e un pochino mi impegno per difenderlo.
Mi ero prenotata 10 giorni prima al CUP. Questo il tempo di attesa. Non commento. Posso aspettare.La mattina prestabilita mi sono presentata alle 6.45 al cancelletto d’ingresso del laboratorio di analisi dell’ospedale. 6.45 della mattina. Sapevo che la Regione Calabria non eroga più soldi alle strutture sanitarie convenzionate, quindi gli utenti che solitamente si servono del privato e che hanno diritto ad esenzione, si sarebbero certamente riversati all’ospedale.
Alle 6.45 trovo davanti a me 10 persone. Con tre gentili persone che si erano armate di pazienza e disponibilità ed erogavano bigliettini elimina code home made. C’era la fila per il CUP, quella per fare le analisi e quella per i pazienti oncologici, che alle 6.45 di mattina in una gelida mattina di tardo autunno erano già lì in coda. Il cancelletto si sarebbe aperto alle 7.30. Se andava bene. Mi guardai attorno. Infreddolita come non mai, chiedendomi se per farmi le analisi non mi stavo beccando un raffreddore, o peggio, visto che la gente cominciava ad affollarsi. Per mantenere il giusto distanziamento causa covid piano piano mi sono ritrovata al centro della strada. Ad un tratto una signora mi strattona da una braccio “Signora, la macchina!” , non mi ero resa conto di essere ormai al centro della carreggiata e una macchina mi aveva praticamente sfiorata. Mi venne da pensare che in Calabria, a Cosenza, avevamo libertà di scelta: morire di covid, di patologie non curate grazie al collasso della sanità, investite per potersi fare le analisi, di polmonite, nell’attesa. Una libertà ancora l’avevamo! Guardavo la gente, una massa tendenzialmente concentrata sull’apertura del cancelletto. Tutti avevano il numeretto, ma tutti si guardavano vicendevolmente in cagnesco, come ai blocchi di partenza di una corsa che dovevano vincere. Per fare presto al cup e andare al lavoro, per poter entrare per primi e non avere freddo, per poter fare le benedette analisi. In una corsa che avrebbe calpestato anziani e donne incinte se fosse stato necessario. E così è stato. Il cancelletto si è aperto, e ho visto la gente fregarsene dell’ordine fatto all’esterno e correre fino al totem del cup battendo sul monitor all’impazzata, sgomitando con chi reclamava il proprio giusto turno. Là mi è stato chiaro che siamo nelle condizioni nelle quali dobbiamo essere. Non siamo in grado di rispettare una fila. Non siamo in grado neanche di avere quella pietas umana per chi non può correre, non riesce ad essere al passo con gli altri.
E il sistema pubblico, che dovrebbe accogliere in primis gli ultimi, collassato ormai sotto le spinte delle inefficienze di chi ha amministrato la cosa pubblica, chiude le porte e si barrica dietro la necessità delle ultime difese.
E tu, che le analisi te le devi fare, che vorresti essere da tutt’altra parte, invece aspetti paziente al freddo di una tarda mattina d’autunno cercando di sopravvivere alla fine del mondo. Questo non è un appello. E’ solo una storia. Che succede ogni santa mattina di fronte le strutture pubbliche sanitarie calabresi. E forse non solo calabresi.
Se pensate che questo sia giusto, bene. Spero godiate sempre di ottima salute.
Se pensate che questo non sia giusto, ditelo, condividete, parlate, fate qualcosa se potete.”
Giacomina Durante – Consigliere Nazionale APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare
“E che le rispondo, io, dal sicuro della mia “tiepida casa”, avrebbe detto Primo Levi..adesso che sono più o meno le sei e mezzo di mattina, e là fuori, al freddo, immagino anche oggi, davanti all’Ospedale, decine di persone, che devono fare le analisi, come lei scrive, sono là in fila per conquistare un pezzetto di diritto che loro spetta, perchè sono cittadini italiani e perchè c’è scritto nella Costituzione il diritto alla salute. Più che la rabbia e lo scoramento, carissima, più che la solidarietà e la partecipazione, in me prevale quello strano malessere che dovrebbe solleticare qualunque persona di buon senso e di media sensibilità che si chiama “senso di colpa”… Mi chiedo dove ho sbagliato, tutte le volte che ho votato, che cosa ho omesso nel mio comportamento di cittadino, dove ho mancato se la città in cui vivo e la mia regione sono ridotte così: alla rassegnazione, all’impotenza, al silenzio, all’attesa, alla guerra tra poveri, allo sgambetto tra derelitti. Spero che lo stesso mio malessere lo provi il Presidente Occhiuto, che adesso è il capo, e il responsabile della Sanità calabrese, dunque in primis, dei pazienti calabresi (anche quelli come lei che soffrono il martirio delle malattie rare): anche lui, come me, sarà al sicuro, “dentro la sua casa tiepida”. Ma con qualche responsabilità in più di me e di lei, cara signora. Nella parola responsabilità c’è dentro un’altra parola, che è risposta. La Calabria in fila al freddo attende da lei una risposta, Presidente Occhiuto.”
Annarosa Macrì, giornalista