A proposito di Idrossiclorochina, Clorochina e altre terapie reumatologiche

A proposito di Idrossiclorochina, Clorochina e altre terapie reumatologiche
Nota Società Italiana di Reumatologia destinata ai pazienti
A cura di: Luigi Sinigaglia e Guido Valesini

Non c’è alcun dubbio che i Reumatologi tra tutti gli Specialisti, siano coloro che hanno la maggiore esperienza e familiarità con l’impiego di Idrossiclorochina e Clorochina. Nati come presidi per curare la malaria e presto sopraffatti in questa sfida da farmaci diversi per contrastare la resistenza dei plasmodi, questi farmaci sono entrati per caso (per quel processo definito dagli anglosassoni come “serendipity” e non sulla base di evidenze scientifiche preliminari) nell’arena reumatologica fin dagli anni 40 del secolo
scorso e vantano oggi una larghissima applicazione in molte patologie reumatologiche. Tuttora i clinici Reumatologi utilizzano ampiamente questi presidi terapeutici per svariate patologie come alcune forme di artrite reumatoide, il Lupus Eritematoso Sistemico, la sindrome di Sjogren, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi e altre connettiviti sistemiche.
Gli effetti anti-virali di questi farmaci, almeno da dati in vitro, sono altrettanto noti fin dagli anni 60: molte specie diverse di virus mostrano una ridotta capacità di replicazione quando esposti a concentrazioni diverse di Clorochina o di Idrossiclorochina. Questo effetto è presente soprattutto per alcuni ceppi di Coronavirus, per alcuni enterovirus e anche per alcuni virus dell’influenza e per il virus dell’AIDS. Riguardo al SARS-Cov 2, responsabile della pandemia che stiamo vivendo, il meccanismo d’azione antivirale è multifattoriale e vi sono evidenze che questi farmaci siano in grado di inibire il contatto tra i virus e l’epitelio delle vie respiratorie interferendo con la glicosilazione del principale recettore di membrana per il virus presente sulle cellule. Oltre a questo effetto di superficie, Idrossiclorochina e Clorochina, stante la loro prerogativa di concentrarsi a livello dei lisosomi, agiscono anche a livello intracellulare (dopo che il virus è penetrato nella cellula) interferendo con il rilascio del genoma virale nel citoplasma grazie all’ inibizione di specifici enzimi lisosomiali. Se accanto a queste più specifiche proprietà anti-virali si aggiunge la considerazione degli effetti che hanno sostanziato l’impiego di questi agenti in ambito reumatologico (tra cui l’inibizione della presentazione dell’antigene,
l’inibizione del segnale dei Toll-like receptors e la produzione di molte citochine pro-infiammatorie), stante l’evidenza di una accentuata risposta infiammatoria (la cosiddetta “tempesta citochinica”) in corso di polmonite da Covid-19, risultano chiari i motivi dell’enorme interesse scientifico per questo possibile approccio terapeutico. È appena il caso di segnalare che, sulla base di queste acquisizioni, in passato una serie di studi ha valutato l’efficacia degli antimalarici di sintesi in un’altra malattia virale
denominata Chikungunya e indotta da un alfa virus, ma caratterizzata sul piano clinico in una discreta percentuale di pazienti proprio da un’artrite, a decorso tendenzialmente cronico, molto simile clinicamente all’Artrite Reumatoide. L’esito di questi studi non ha fornito risultati conclusivi e al momento non vi sono elementi scientificamente provati a favore dell’impiego di questi farmaci in questa malattia virale.
Stante l’enorme incremento in questi ultimi tre mesi delle pubblicazioni scientifiche sulla malattia indotta da virus SARS-Cov2 (si è passati da qualche centinaio di segnalazioni a inizio febbraio ad un numero di articoli scientifici- contrassegnati dalle parole-chiave COVID-19 o SARS-Cov 2- che al 25 Maggio è superiore a 13.000), risulta veramente arduo pervenire a certezze definitive su diversi aspetti. Nella maggior parte dei casi questi articoli riportano segnalazioni aneddotiche, presentazione di casi clinici, segnalazioni di trattamenti di puro vaglio osservazionale. Così, se la Letteratura medica in questi ultimi mesi ha contribuito in maniera assai esaustiva a disegnare molto compiutamente il quadro clinico della malattia, tanto che oggi si può davvero ritenere che la diagnosi di infezione da SARS-Cov 2 non abbia per il medico quasi più alcun segreto, risulta al contrario estremamente difficile carpire da questa enorme messe di segnalazioni qualche elemento definitivo circa l’efficacia e la sicurezza degli schemi terapeutici che sono stati via via proposti.
Riguardo a Idrossiclorochina e Clorochina, se si eccettuano due studi Cinesi in vitro che confermano le potenzialità anti-virali dei due composti, sono disponibili ad oggi almeno 12 studi clinici che riportano dati di efficacia su casistiche tuttavia molto eterogenee, e in diversi stadi di malattia. Va tuttavia sottolineato che la maggior parte di questi studi è stata condotta utilizzando dosaggi di antimalarico superiori rispetto alle dosi comunemente impiegate in Reumatologia e che molti di questi studi prevedevano anche una associazione con un antibiotico, l’azitromicina. Degli studi pubblicati, il primo è uno studio “caso-controllo” e ha dimostrato che l’idrossiclorochina è in grado di indurre una più rapida negativizzazione del tampone rispetto ai pazienti che non avevano utilizzato il farmaco. I restanti studi sono di natura puramente osservazionale (tre studi), retrospettiva (4 studi), randomizzati in aperto (3 studi) oltre a un unico studio randomizzato in doppio cieco. La maggior parte di questi studi non ha mostrato un effetto significativo di questo approccio terapeutico nel trattamento dell’infezione da Covid19 né in termini di riduzione del fabbisogno di ventilazione meccanica, né in termini di sopravvivenza.
Neppure l’unico studio randomizzato in doppio cieco condotto su pazienti ricoverati con sindrome respiratoria acuta ha dimostrato benefici significativi nei pazienti trattati rispetto ai non trattati.
Se è dunque difficile, sulla base dei dati disponibili, ritenere che gli antimalarici di sintesi possano avere qualche ruolo nella terapia dell’infezione da SARS-Cov 2, ancora più problematico è estrapolare qualche dato relativo ad un possibile effetto preventivo di questo trattamento sull’infezione. I soli dati che tuttavia abbiamo a disposizione ci dicono che diversi pazienti con Lupus Eritematoso Sistemico in trattamento protratto con idrossiclorochina hanno potuto ammalare di infezione da SARS-COV 2 e anche i primi dati del Registro Nazionale e dei Registri internazionali riportano diversi pazienti che si sono ammalati pur essendo in trattamento con Clorochina o Idrossiclorochina. Alla data del 24 maggio 2020 il sito ClinicalTrials.gov informa che sono in corso nel mondo ben 199 studi su Idrossiclorochina e 14 studi su Clorochina nel trattamento o nella prevenzione dell’infezione da SARS-Cov 2. Il dato è senz’altro impressionante ma non fa che testimoniare accanto al sicuro interesse scientifico, l’assoluta povertà di dati attuali su cui fondare una opinione scientificamente provata sulla efficacia di questi farmaci.
L’altra questione cruciale che è emersa di recente e che può avere conseguenze negative sull’informazione dei pazienti è relativa alla sicurezza. I Reumatologi conoscono molto bene il profilo di sicurezza di questi farmaci la cui principale manifestazione collaterale è rappresentata da un problema oculistico in relazione a possibili depositi corneali e retinici. Questi ultimi devono essere monitorati mediante periodici controlli oftalmologici del fondo oculare. Oltre al problema oculistico, che si pone soltanto in seguito all’impiego cronico, gli unici effetti collaterali riguardano possibili eruzioni cutanee in soggetti ipersensibili e possibili intolleranze gastroenteriche. In rarissimi casi è stata descritta una miopatia mentre la questione della cardiotossicità (che comprende la possibile insorgenza di disturbi del ritmo, l’allungamento del QT all’elettrocardiogramma e la comparsa di una vera e propria cardiomiopatia) è stata di recente messa in dubbio. Una revisione sistematica della Letteratura pubblicata nel 2018 ammette che il rischio di complicanze cardiologiche attribuibili a Clorochina e a Idrossiclorochina non è quantificabile in quanto mancano studi randomizzati e controllati e financo studi osservazionali finalizzati a verificare questa possibile associazione. Dall’analisi di 86 articoli pubblicati fino al Luglio 2017, (tutti di natura aneddotica o derivanti da piccole casistiche) sono state ricavate
informazioni su 127 pazienti trattati che hanno presentato segni di cardiopatia “attribuibile” all’impiego di questi farmaci almeno ai dosaggi comunemente impiegati nella pratica reumatologica. A fronte di un profilo di sicurezza che deve pertanto essere considerato del tutto rassicurante, idrossiclorochina e clorochina nelle patologie reumatologiche sembrano invece possedere un profilo cardiologico protettivo in quanto sono in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari, abbassano il valore della glicemia a digiuno e contrastano l’iperlipidemia. Inoltre, l’idrossiclorochina sembra svolgere un effetto anti trombotico migliorando la funzione endoteliale. D’altra parte, non può essere escluso che gli eventi cardiovascolari segnalati con elevati dosaggi di questi farmaci nel corso del loro impiego per l’infezione da SARS Cov 2 possano almeno in parte essere attribuiti alla malattia di base e non dipendere dal trattamento in atto.
In conclusione, al momento attuale, sulla base della valutazione della Letteratura scientifica, non esistono certezze circa l’efficacia terapeutica e/o preventiva di Idrossiclorochina e Clorochina nell’infezione da SARS-COV-2. La risposta definitiva potrebbe venire dai risultati dei numerosi studi che sono stati avviati nel mondo con un disegno randomizzato e controllato che è l’unico in grado di generare informazioni certe. D’altro canto, vale la pena ribadire che questi farmaci sono essenziali per il Reumatologo nella terapia di svariate condizioni cliniche e che molti pazienti in questi ultimi mesi possono aver sofferto di una mancata disponibilità di farmaco le cui quote maggiori sono state convogliate alla terapia dell’infezione da SARS-Cov2. Va tuttavia segnalato che l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) in data 1° aprile 2020 aveva emanato un documento, rimasto immodificato, in cui si ribadiva che idrossiclorochina e clorochina dovessero essere utilizzate esclusivamente all’interno di trials clinici approvati. Tale messaggio è stato evidentemente disatteso.
Mentre scriviamo questa nota apprendiamo che in data 25 Maggio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha temporaneamente sospeso gli studi sull’impiego di Idrossiclorochina e Clorochina nel trattamento dell’infezione da SARS-Cov2. La decisione è stata presa sulla base di un articolo pubblicato alcuni giorni fa sulla prestigiosa rivista inglese Lancet che riporta i dati di un Registro multinazionale che ha incluso quasi 15,000 pazienti ricoverati in 671 ospedali di sei continenti trattati con Clorochina o Idrossiclorochina in associazione o meno a un antibiotico e ha confrontato i dati ottenuti con un gruppo di controllo di oltre 80.000 pazienti non in trattamento. Pur non essendo uno studio randomizzato e prospettico, lo studio indica che i pazienti in trattamento avevano una maggiore mortalità rispetto ai controlli e una maggiore incidenza di aritmie cardiache. Alla luce di questi dati, l’era degli antimalarici nella terapia dell’infezione virale da SARS-Cov 2 sembra essere definitivamente tramontata.
Va segnalato d’altra parte che anche altri farmaci impiegati nella terapia delle malattie autoimmuni reumatologiche sono stati sperimentati nella terapia della infezione da SARS-Cov2: è questo il caso di farmaci inibitori di interleuchina 6 (IL-6) già utilizzati nella terapia dell’artrite reumatoide. Il razionale per il loro uso è legato alla capacità di esercitare un forte effetto inibente sulla vera tempesta citochimica (cytokine release syndrome-CRS) caratteristica della fase di malattia più grave e pericolosa della Covid19. Particolarmente interessanti si sono dimostrate in questo caso le esperienze cinesi ed italiane.
Anche per gli inibitori del TNF-alfa, così largamente usati in Reumatologia, esisterebbe un razionale per il loro impiego nell’infezione da SARS-Cov2 in virtù del loro effetto antivirale, anche se mancano al momento risultati chiaramente positivi nel loro impiego clinico.
Un ulteriore bersaglio delle più moderne terapie delle malattie autoimmuni reumatologiche, sono le kinasi e gli inibitori delle JAK (quali baricitinib, ruxolitinib, fedratinib, tofacitinib) trovano ormai largo impiego in Reumatologia; tra questi il baricitinib si è dimostrato in alcuni studi preliminari capace di proteggere le cellule polmonari (pneumociti) degli effetti lesivi di SARS-Cov2.
La cura delle malattie reumatologiche ha avuto negli ultimi 30 anni un grande sviluppo grazie alla scoperta di nuove classi di farmaci, il progresso delle conoscenze in questo campo ha aperto nuovi scenari cui forse si potrà attingere anche per la cura di COVID19, almeno fino a quando non sarà disponibile un vaccino efficace e sicuro per questa nuova infezione virale.

Nota_Idrossiclorochina_2020.pdf