di Maria Rita Montebelli
“Il dolore passa, ma la bellezza rimane”. Con queste parole il grande impressionista francese Pierre-Auguste Renoir sintetizzava e dava un senso alla sua gioia di dipingere anche quando la sofferenza gli straziava le mani. L’immenso e prolifico artista, autore di oltre 6 mila opere d’arte tra disegni, pastelli, dipinti, schizzi, bronzi e litografie, pieni di luce e di colori brillanti, era infatti affetto da una forma grave di artrite reumatoide. Il ‘pittore della felicità’ insomma ha sofferto moltissimo, per oltre un quarto di secolo. Eppure è riuscito a lasciare in eredità al mondo intero una mole di bellezza e serenità, come pochi altri artisti, riuscendo a venire a patti con la sua malattia, gestendo in silenzio disagi e sofferenze, senza mai cedere alla disperazione.
E, secondo gli addetti ai lavori, applicando ante litteram i moderni principi della fisioterapia e della terapia occupazione in maniera così efficace, da non doversi arrendere alla disabilità. Un percorso di malattia documentato dalle fotografie che lo ritraggono in quegli anni, dalle lettere a parenti e conoscenti, dai racconti di chi gli viveva accanto. E non da relazioni mediche, che d’altronde avrebbero avuto ben poco da dire, vista l’assenza di terapie in grado di alleviare i sintomi di questa malattia (Renoir veniva trattato con purghe, anti-pirina, esercizio fisico e bagni termali). I primi segni della malattia sarebbero comparsi all’età di 47 anni; una foto di pochi anni dopo rivela un rigonfiamento delle articolazioni metacarpo-falangee e interfalangee prossimali. Il figlio regista, Jean Renoir, riferisce di un dolore alla spalla destra, comparso una decina di anni dopo. Di certo, la patologia ha assunto un carattere progressivo a partire dai 60 anni, gravando l’immerso artista di una grave disabilità nell’arco di appena dieci anni e lasciandolo in questo miserevole stato negli ultimi 7 anni di vita: anchilosi delle articolazioni, limitazioni dei movimenti a carico della spalla destra, mani fuori uso e difficoltà crescenti nel camminare.
Dai 63 anni in poi Renoir comincia a perdere peso (cachessia reumatoide), arrivando a pesare appena 46 chili. Si susseguono una serie di gravi complicanze, tra le quali la necrosi delle falangi distali della mano per una probabile vasculite, ed è costretto sulla sedia a rotelle. Ma lui non si arrende. Dipingerà la sua ultima opera, un mazzo di anemoni, solo poche ore prima di soccombere ad una polmonite. Fissare la luce e i colori sulla tela per Renoir era un bisogno primitivo, quasi fisico. Si narra che anche quando si svegliava in piena notte per i dolori chiedesse subito il materiale per dipingere, come se quel gesto fosse in grado di alleviargli le sofferenze. Il danno ai tendini estensori delle mani e delle dita, negli ultimi tempi lo costringeva a dipingere con piccoli rapidi colpi di pennello, “come una gallina che becca”. Sebbene non avesse concesso alla malattia di influenzare la sua creatività, la sua tecnica di pittura si era dovuta adattare alla disabilità crescente. Ma la pittura è stata fino in fondo la sua ragione di vita e la spina dorsale della sua esistenza. “Benedetta pittura – amava dire –.
Anche da vecchio, ti permette di continuare a creare illusioni. E occasionalmente anche di regalare gioia”.