Il linguaggio del medico spesso è distante da quello del paziente; questi due mondi possono dunque avere grandi difficoltà a comunicare, con ricadute negative sul percorso di cura. Necessario trovare un vocabolario condiviso per evitare che le parole diventino ‘pietre’ e tornino invece ad essere ‘esperienze’ comunicabili. Il ‘vocabolario della reumatologia’ di APMARR ha messo insieme le prime 50 parole. Saranno presentate a breve attraverso video e webinar.
di Rosario Gagliardi*
Nel corso delle mie visite presso alcuni centri ospedalieri, insieme ad alcuni medici e sociologi, mi è capitato di recarmi in una struttura di eccellenza per la cura delle malattie rare. Questa struttura mi ha colpito per l’ottima organizzazione, per la competenza degli operatori medici, per il numero di infermieri e per le attrezzature disponibili.
Mentre giravamo per i reparti, soffermandoci tra le stanze dei pazienti e discutendo sull’opportunità di realizzare percorsi di diagnosi, terapia ed assistenza finalizzata ad una maggiore efficacia del processo di cura, una paziente, uscita dalla sua stanza, ci seguiva nel nostro giro.
Ad un certo punto mi sono fermato e nel guardarla si sono incrociati, anzi allineati i nostri sguardi, si è avvicinata e, prendendomi la mano, mi ha detto: “Aiutami, aiutami.”
Ho avvertito un brivido lungo il corpo ed un vuoto allo stomaco indescrivibile.
Le ho chiesto di cosa avesse bisogno, come potevo aiutarla, lei mi ha semplicemente detto: “Non mi capiscono, non riesco a farmi capire, le loro parole sono diverse dalle mie parole, è come se avessero un altro vocabolario. La loro preoccupazione è rivolta alle cose della malattia, mentre la mia è rivolta alle cose mie, personali ed alle difficoltà di gestire la malattia. A volte mi pare di parlare una lingua diversa dalla loro, aiutami a farmi capire”.
Qual è il vocabolario del medico, e quale è quello del paziente? Il vocabolario racchiude i termini che vengono usati per comprendersi, per trasferire informazioni, per comunicare fatti, dati, elementi concreti e tecnici, ma soprattutto per mettersi in condivisione con l’altro. Quindi, bisogna usare le parole giuste. “Le parole sono pietre – diceva Primo Levi – sono suoni per coloro che non s’impegnano; sono il nome di esperienze per chi le vive”.
La riflessione è stata questa, non basta avere un centro definito di eccellenza, con organizzazione ottima, con specialisti preparati e con infermieri adeguati al caso, oltre che attrezzature all’avanguardia, non basta. Occorre, non tanto fare di più, ma fare qualcosa di diverso, per esempio capire, comprendere il linguaggio della malattia attraverso il vocabolario del paziente.
Allora, se vogliamo comprendere le esperienze di chi è affetto da una patologia, dobbiamo conoscere il vocabolario di quella patologia.
“Il vocabolario della reumatologia”, (progetto realizzato da APMARR) quello dei pazienti, sintetizzato in 50 parole, contiene più del 70% di termini che non hanno nulla a che vedere con termini medici, specialistici o tecnici. Sono parole che riflettono le esigenze, i bisogni, il vissuto della persona affetta dalla patologia.
Questo vocabolario contiene parole come: “ascolto, accettazione, accessibilità, comunicazione, coraggio, equità, persona, percezione, solitudine, amore”, solo per citarne qualcuna.
Il progetto ha preso il via nel 2023 con un’indagine conoscitiva che ha permesso di identificare le 50 parole che ogni persona con patologia reumatologica dovrebbe conoscere e ritenere fondamentali.
Nelle fasi successive, previste nel corso di quest’anno, il progetto prevede la realizzazione di brevi video con pazienti ed esperti del settore, al fine di spiegare le parole principali in stile ‘Ted Talk’. Inoltre, ci sarà l’organizzazione di webinar per l’approfondimento sulle parole di maggiore interesse per chi vive queste patologie.
Lo scopo è quello di far emergere il tipo di linguaggio con il quale gli operatori della salute dovrebbero confrontarsi, attraverso il significato che contiene la parola stessa. Una ricerca di condivisione sul modo di guardare e comprendere “le persone” prima ancora di gestire la malattia.
*Fondatore e General Manager di Formedica, Docente di Comunicazione e Management Socio-Sanitario, Dipartimento Studi Sociali ed Economici (DiSSE), Università La Sapienza di Roma, Master MIAS