Il 27 settembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale del Turismo Accessibile. Ma il nostro è davvero un Paese ‘accessibile’?
La testimonianza di Anita Pallara, lo stato dell’arte e l’importanza di un progetto come “Si può”, che vede APMARR capofila.
Lo scorso 27 settembre si è celebrata la Giornata mondiale del turismo accessibile. Sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sfide che le persone con disabilità affrontano nel settore del turismo e promuovere uno stile di vita inclusivo, dovrebbe essere ormai mentalità consolidata di cittadini, istituzioni e legislatore per favorire la miglior vita di qualità possibile a tutti. A sancirlo sono, tra l’altro, quei principi di equità su cui fonda tutto il nostro ordinamento giuridico, che si pongono come garanzia per le persone con disabilità alla partecipazione di attività culturali, turistiche e ricreative. Purtroppo, però, non è ancora così e la cronaca ci restituisce tantissime storie di questo tipo, tra queste quella della Presidente di Famiglie SMA, Anita Pallara.
Il suo è un racconto di sensibilizzazione, un modo per dire come ci si senta ad essere esclusi, come disabili gravi, che dimostra come l’Italia non abbia ancora accettato nei fatti l’idea che le persone con disabilità siano come tutte le altre. La terribile esperienza che Anita racconta si è verificata questa estate: dopo aver chiesto se la barca per fare un giro nelle “Maldive del Salento” fosse accessibile ai disabili, avendo ricevuto risposta affermativa, ha acquistato il biglietto. Giunta all’imbarco però la passerella era strettissima e chi era al comando della barca ha annunciato “i disabili come questi non li carichiamo”, non rivolgendosi nemmeno a lei, ma indicandola chiaramente. Anita, che si è vista restituire i soldi del biglietto in strada, è rimasta così a terra, mentre la ‘sua’ barca salpava. Un duro colpo per chi, quotidianamente, si batte per avere una vita serena e di qualità nonostante la convivenza con l’atrofia muscolare spinale. Ma un brutto colpo anche per il nostro Paese, che non può rimanere sconosciuto, perché consentire un turismo accessibile a tutti è un segno di civiltà, non un’impresa straordinaria. Quello di Anita purtroppo non è un episodio isolato. Giochi per disabili distrutti all’interno dei parchi cittadini; barriere architettoniche non abbattute o passaggi non consoni all’accessibilità; turisti con disabilità non imbacati in aereo o costretti ad un viaggio scomodissimo e stressante con diritto alla precedenza non rispettato; carrozzine perse o danneggiate durante il viaggio e tanti altri fatti di cronaca, quasi quotidianamente ci consegnano l’immagine di un’Italia che su questo fronte ha ancora tanta strada da fare. Per non parlare, poi di lidi poco attrezzati e in numero esiguo rispetto alla necessità, che non sempre permettono ad una persona in carrozzina di godersi un po’ di mare, pur avendolo molto vicino a casa.
Ma a che punto è il turismo accessibile in Italia?
Tre milioni e 150 mila turisti potenziali italiani non possono andare in vacanza in Italia perché convivono con una disabilità e solo lo 0,6% dei Comuni ha ottenuto la bandiera lilla, simbolo di Comuni accessibili. I dati ISTAT del 2022 sono sconfortanti, ma la buona notizia è che il 15 marzo scorso, siglata da numerosi Deputati, è approdata alla Camera la Proposta di Legge n. 997, recante “Disposizioni in materia di turismo accessibile e di partecipazione delle persone disabili alle attività culturali, turistiche e ricreative”, che punta sostanzialmente a permettere alle persone con disabilità di organizzare una vacanza in Italia o all’estero in strutture ricettive che abbiano locali pienamente accessibili, usufruendo di tutti i mezzi di trasporto indispensabili per il pieno godimento dei servizi essenziali connessi all’offerta turistica.
La proposta presentata si compone di un testo introduttivo e di dieci articoli; l’articolo 8 prevede sanzioni per coloro i quali compiano atti discriminatori in violazione dell’articolo 3, comma 3 del Codice del Turismo (D. Lgs. n. 79/11 e successive modifiche). Questo cristallizza come atto discriminatorio, “impedire alle persone con disabilità motorie, sensoriali e intellettive, di fruire, in modo completo ed in autonomia, dell’offerta turistica, esclusivamente per motivi comunque connessi o riferibili alla loro disabilità”.
Storicamente, il diritto al turismo per le persone con disabilità, nasce nel 1980, quando per la prima volta, un’organizzazione internazionale ha associato il diritto al turismo al miglioramento della qualità della vita in chiave non discriminatoria, comprendendo quindi anche le persone con disabilità. Su questo input, l’Assemblea dell’UNWTO (World Tourism Organization, Agenzia Specializzata delle Nazioni Unite) ha approvato la Dichiarazione di Manila sul turismo mondiale. Il vero riconoscimento al turismo accessibile si è avuto nel 1989 con la pubblicazione di “Tourism for all” dell’English Tourist Board; nello stesso periodo, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) adottava la risoluzione “Regole standard sulla distribuzione delle opportunità per le persone con disabilità”, raccomandandone l’attuazione in tutti i Paesi in modo da poter raggiungere a livello globale la parità dei diritti per le persone con disabilità. L’UNWTO, nel 1991, ha recepito la risoluzione dell’ONU nel documento “Creating tourism opportunities for handicapped people in the Nineties”, aggiornata nel 2005, quando l’accessibilità diventa ufficialmente un diritto legittimo delle persone con disabilità inerente al turismo, allo sport e a qualsiasi attività ludica.
Su impulso dell’UNWTO, nel 2009 l’Unione europea ha aperto le porte all’accessibilità turistica e nel 2011 è stato firmato un accordo di collaborazione tra l’UNWTO e l’Unione europea per creare la Rete europea per il turismo accessibile (ENAT) e agevolare gli interventi in tema. Nel documento, il turismo accessibile viene definito come una forma di turismo che comporta processi di collaborazione strategicamente pianificati tra gli stakeholder che “consentano alle persone con esigenze di accessibilità, di mobilità, di visione, di udito e con dimensioni cognitive particolari, con esigenze alimentari specifiche come celiachia, intolleranze, allergie, problematiche relative al diabete, di essere indipendenti e liberi di scegliere con equità e dignità attraverso l’offerta di prodotti, servizi e ambienti turistici universalmente progettati”, sottolineando che la collaborazione è richiesta a tutta la popolazione di destinazione, come impone, tra l’altro, l’articolo 9 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità di New York del 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
È proprio per adempimento e promozione di quanto contenuto all’interno di queste normative, ma soprattutto per senso civico e necessità che tutti i progetti in tal senso vengono considerati come operazioni ben volute e prioritarie. Un esempio è il Progetto “Si può”, di cui è capofila APMARR con AST e UILDM Mazara del Vallo, cofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ideato e assistito nel suo sviluppo dall’Agenzia SocialNet e supervisionato dal CERPA Italia Onlus (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità).
Partito a maggio del 2021, il progetto riguarda la formazione e definizione di un modello innovativo di accessibilità e inclusività delle pratiche turistiche e forma personale e volontari per promuovere l’accesso al turismo e alle attività del tempo libero per persone con disabilità o malattia rara. Un’opportunità e priorità che significa realizzare l’ideale di vita, la migliore possibile, che metta al primo posto la persona e non la disabilità.
di Cristina Saja