Morfologie n.40 – SPECIALE LISTE D’ATTESA/2

Quando l’attesa mette tra parentesi la vita

Le liste d’attesa impossibili a volte uccidono, come una malattia, altre volte impediscono di vivere un’esistenza piena per mesi o addirittura anni. Un’inchiesta di Morfologie ha trovato delle storie emblematiche in giro per l’Italia.

di Roberta Grima

 

SUD

Antonio è morto senza poter avere la gioia di vedere nuovamente da quegli occhi stanchi e malati di cataratta. L’uomo di Casarano, paese della provincia di Lecce, aspettava da tempo l’intervento; ma la chiamata dall’ospedale è arrivata troppo tardi. Una lunga attesa dovuta alla pandemia, perché la maggior parte degli anestesisti e rianimatori erano impegnati sul fronte Covid che ha fatto sospendere tutta l’attività ‘non urgente’ delle sale operatorie. Così, quando Maria, la moglie di Antonio, è andata a prenotare l’intervento per suo marito, presso il centro unico di prenotazione dell’Asl salentina, si è sentita rispondere che la prima disponibilità era per il 2 novembre 2022, ovvero Antonio sarebbe dovuto rimanere un anno e mezzo senza vedere, prima di essere operato.

Questo è l’effetto dell’emergenza sanitaria su una patologia come la cataratta considerata non urgente. E in effetti di cataratta non si muore, “ma provate a immaginare di non vedere più per un anno e mezzo – dice la moglie –.” L’alternativa – come ci ha raccontato Cristina Lezzi responsabile del tribunale per i diritti del malato di Casarano, che raccoglie giornalmente segnalazioni come quella di Antonio – era pagare 680 euro e recarsi nella clinica privata dove lavora lo stesso oculista che aveva visitato l’uomo in regime pubblico, per ottenere in tempi più brevi l’operazione. Antonio però quei 680 euro non poteva spenderli e ha atteso di poter nuovamente vedere, ma nell’attesa l’uomo, ammalato di altre gravi patologie cardiache e polmonari, è morto senza aver potuto incrociare neanche per l’ultima volta lo sguardo della sua Maria.

Il problema delle lunghe attese per le sedute operatorie però, non è solo del sud, ma è sentito un po’ in tutta Italia.

 

CENTRO

Dal Lazio, ci racconta a sua esperienza Daniela. Lei è una donna sulla cinquantina che poco prima dell’estate scorsa, si accorge che il neo che aveva sulla gamba sinistra si era ingrandito e modificato. Passano i giorni, le settimane, il neo continua a cambiare d’aspetto, così quando una sera Daniela si trova a parlare tra amici della sua condizione, fa vedere il neo all’amica dottoressa che capisce immediatamente la gravità e invita Daniela a prenotare una visita in uno dei centri di eccellenza in Italia: l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI) di Roma. La donna arriva i primi di giugno con gli esami del caso e la paura che potesse trattarsi di un melanoma, un tumore della pelle, come poi viene confermato dallo specialista. Non c’è da aspettare molto in questi casi, la neoplasia infatti se superficiale viene facilmente eliminata, asportando il neo, ma se passa troppo tempo si infiltra nei tessuti e non dà scampo. Daniela si aspettava di essere richiamata nel giro di una settimana, per essere sottoposta all’intervento chirurgico. La telefonata attesa invece non arriva e passa tutto il mese di giugno. Quando la donna tra paura e rabbia chiama più volte l’IDI per avere notizie, le viene spiegato che il periodo di pandemia non facilitava le cose.

Il Covid ha stravolto anche l’attività dei centri privati, non solo quella degli ospedali. Il personale è ridotto a causa del coronavirus, i ricoveri spesso se non urgenti, vengono sospesi o contingentati per evitare sovraffollamento e mancato distanziamente tra un paziente e l’altro, una volta operati. In alcuni casi poi le strutture private sono entrate in gioco durante la pandemia, per supportare gli ospedali dando disponibilità di posti letto.

A Daniela però è stato detto più volte di avere pazienza, che era in lista e che presto sarebbe stata chiamata. Ma quando passa anche tutto il mese di luglio, la donna decide di ritornare di persona all’IDI per chiedere informazioni; lo specialista le comunica che sarebbe stata operata subito dopo le ferie estive. A quel punto Daniela, decisamente alterata, chiede di parlare col primario che, rendendosi conto della situazione, le fissa l’operazione pochi giorni dopo. Oggi Daniela sta bene ma pensa che se non avesse battuto i pugni sulla scrivania di quel primario, forse non ce l’avrebbe fatta.

 

NORD

La situazione è difficile anche al nord. A Varese per esempio Lucio ha dovuto aspettare due anni prima di potersi operare, facendo un vero e proprio slalom tra un’ondata Covid e l’altra. Lucio presentava dal 2019 uno pterigio, una piccola escrescenza di tessuto nell’occhio che, estendendosi come un panno sulla cornea, gli impediva di vedere. Poco dopo la comparsa del problema, scoppia la pandemia. Trascorre così tutto l’anno senza essere chiamato per l’intervento perché le sale operatorie sono chiuse per l’emergenza sanitaria. Arriviamo a gennaio del 2020, quando intanto a peggiorare era anche la cataratta di Lucio, che non poteva essere operata senza asportare prima lo pterigio. L’uomo decide quindi di rivolgersi ad una clinica privata di Milano. Qui effettua una visita oculistica privata e gli viene programmato l’intervento a distanza una settimana. Ma dopo qualche giorno, viene nuovamente contattato dalla clinica che lo informa che la seduta operatoria è stata rimandata di una settimana. Poi, due giorni prima dell’intervento, a Lucio viene comunicato che le sale operatorie sono chiuse a causa dell’emergenza sanitaria e che sarebbe stato richiamato alla fine dell’emergenza Covid. Trascorre tutto il 2020 e Lucio aspetta ancora di essere richiamato, mentre l’ospedale di Varese lo contatta una prima volta per fissare l’intervento a dicembre. La situazione sembrava normalizzata e Lucio viene inserito in lista. Ma a dicembre si verifica una nuova ondata di Covid-19 e gli interventi non urgenti, come quello di Lucio, vengono nuovamente sospesi. Slitta tutto al 2021, quando dopo l’inverno, si ritorna ad una parvenza di normalità. Ma Lucio dovrà comunque attendere la fine dell’anno per riuscire a fare il suo intervento.