Morfologie n.40 – RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE – La percezione è la malattia

Medici e pazienti vedono la malattia da prospettive diverse; il medico è più concentrato sulla scoperta delle cause che gli permetterà di offrire terapie più mirate ed efficaci; il paziente vede la malattia come stravolgimento della sua identità e delle relazioni.
L’importanza dell’ascolto e del fattore tempo per conciliare queste due posizioni.

di Rosario Gagliardi

 

Chi di voi non ricorda il mitico professor John Keating, interpretato da uno straordinario Robin Williams nel film “L’attimo fuggente”? E come dimenticare la sua frase “è proprio quando credete di sapere qualcosa, che dovete guardare da un’altra prospettiva”? Spesso il medico, forte delle sue conoscenze e delle sue convinzioni, una volta inquadrata una malattia, si focalizza su di essa ed elabora una precisa percezione, che non sempre corrisponde a quella del paziente. Per il medico si tratta essenzialmente di alterazioni fisiopatologiche, coinvolgimento di organi e apparati, sintomi e alterazioni di parametri funzionali, con disfunzione degli equilibri chimico-fisici e metabolici. D’altronde è così che riesce a diagnosticare le diverse patologie, partendo proprio da questi elementi. Per il paziente però la percezione della malattia è molto diversa. Viene vissuta come un evento inatteso, che rompe la quotidianità, si fa fatica a darle un senso.

Non solo sofferenza fisica, ma trasformazione del corpo, stravolgimento delle abitudini, delle priorità, degli affetti, abbandono o distacco dagli amici, parenti, stravolgimento della vita e dell’identità. Si realizza una rottura biografica, una vera frattura della trama esistenziale. Una comprensione della percezione della malattia di un paziente è necessaria per aiutare nella diagnosi. Questo può essere difficile perché la percezione è altamente soggettiva e non esiste un metodo assoluto per misurarla, né da individuo a individuo, né all’interno della prospettiva di una persona nel tempo. In molti casi il resoconto che ne deriva, non corrisponde a quello che il paziente dichiara attraverso la descrizione dei sintomi e del suo stato di salute. Va precisato che i pazienti non sono solamente i fruitori finali dei trattamenti terapeutici, ma sono essi stessi una parte del processo e, pertanto, è raccomandabile ascoltare la loro voce e porsi dalla loro prospettiva per comprendere al meglio le necessità riguardanti le malattie croniche e rare. Esattamente quello che hanno fatto i ricercatori dell’Università di Tübingen (Germania) che, in un articolo pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases, hanno confrontato le risposte date ad una survey, sottoposta a medici e rappresentanti dei pazienti membri della rete ERN-RND, su alcuni temi d’indagine, riguardanti proprio alcune malattie croniche rare.

Temi che comprendevano: le origini, la definizione e la diagnosi di queste patologie, lo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi, lo studio dei meccanismi e dei modelli di malattia e, infine, l’assistenza sanitaria e sociale. Nell’articolo si legge che sono pervenuti agli studiosi tedeschi 156 questionari completi, 74 dei quali davano priorità allo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi nei confronti delle patologie neurologiche rare e solo 12, invece, mettevano al primo posto lo studio dei meccanismi e i modelli di malattia. Tuttavia, l’aspetto più interessante del confronto emerge quando vengono valutate, rispettivamente, le priorità espresse dai pazienti e quelle espresse dai medici: infatti, il 61% dei pazienti esprime una priorità legata allo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi, mentre solo il 26% dei professionisti della salute indica questa scelta. Al contrario, il 30% dei clinici ritiene fondamentale lo studio delle origini delle varie patologie (mentre solo il 16% dei pazienti attribuisce lo stesso grado di importanza a questo tema). Appare piuttosto chiara la diversità di vedute messa in campo dai due gruppi ma, se da un lato si può intuire facilmente come i medici ritengano prioritario fare luce sulle cause e sull’origine di una patologia, esplorandone anche i meccanismi di sviluppo al fine di identificare una terapia efficace, dall’altro la prospettiva dei pazienti è centrata sulla messa a punto di trattamenti che permettano loro di controllare la malattia e ridurne l’impatto sulla qualità di vita.

In un certo senso, questo differente punto di osservazione della patologia implica una diversa percezione della malattia stessa. Più precisamente, in questo caso, una diversa percezione del fattore tempo da parte del medico e del paziente, con quest’ultimo che ha urgenza di arrivare a una terapia valida per fronteggiare la problematica di salute con cui vive di giorno in giorno. I pazienti fanno i conti ogni momento della loro vita con la malattia e con ciò che essa comporta, mentre il medico mette al primo posto l’aumento di competenza che può permettergli di far luce sulla stessa, ritenendolo il prodromo dello sviluppo di trattamenti utili o risolutivi. “Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù”, continua il professore interpretato ne “L’attimo fuggente” da Robin Williams. Infatti, non bisogna mai dimenticare quanto certi successi siano figli di una mentalità che prevede il dialogo, specialmente tra medico e paziente. Anche partendo da prospettive che non sempre ci appartengono è possibile giungere al risultato migliore per tutte le parti in causa.