Morfologie n.39 – L’OPINIONE – A Natale puoi di Andrea Tomasini

La pubblicità ha spesso il merito di render visibile il precipitato dell’immaginario collettivo combinato con il momento storico che si sta vivendo. Quasi come una forma di arte contemporanea, formula un messaggio audiovisivo per persuadere all’acquisto legandosi a valori, condizioni, desideri che sono parte integrante del prodotto narrato nello spot.

A fine anno quasi tutti i brand colgono l’occasione per fare gli auguri per le feste. Un anno fa, sottolineando che il Natale 2020 sarebbe stato “così particolare” (obbligati a esser distanziati quando tutti ci si ritrovava insieme nella festa per eccellenza dell’incontro), Bauli volle regalare ai suoi clienti la canzone “A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai…”. Attivando una sorta di karaoke nazionale propose: “Ora tocca a te: raccontaci come renderai speciali le tue feste, scriveremo la canzone e farai parte dei nostri spot di Natale”. Esser coprotagonisti di quel primo Natale di pandemia è una sollecitazione che quest’anno torna. Nello spot 2021 la stessa melodia del 2020, sintesi visiva di tanti karaoke: i numerosi piccoli quadratini che ritraggono persone che cantano in situazioni “natalizie” realizzano una coralità che suggerisce due cose: l’uso del web per esserci e vedersi, a prescindere da dove si sta, è un uso quotidiano che supera la distanza fisica mediante la condivisione dell’immagine; il fatto che tutti siamo coinvolti – attori e autori –, non solo dello spot ma nell’epidemia, rende quest’ultima un testo collettivo visibile graficamente nello spot mediante i filmati inviati.

In tanti l’anno scorso abbiamo trascorso le feste collegati via pc con amici e parenti lontani, per via del lockdown, Da gennaio disponiamo di vaccini efficaci, fatto che ha consentito di modificare l’andamento dell’epidemia, ma la variante Omicron incalza. La pandemia sta funzionando come uno schermo in cui la società si specchia e scopre cose di sé che non conosceva, svelando alcune ambivalenze cruciali. Innanzitutto le diseguaglianze di salute nella popolazione – fragilità del paziente cronico, vulnerabilità del cittadino con accesso limitato alle risorse sociali, culturali, simboliche ed economiche per la salute, inefficienza della sanità di prossimità – e la dimensione relazionale della salute. L’epidemia è l’esito del contagio, veicolato per il tramite delle relazioni tra le persone. Il lockdown, che interrompe questa prossimità fisica per l’incolumità della popolazione (incolumis in latino designa l’abitante di un luogo che gode dei diritti del cittadino) è la versione riveduta, corretta e moderna del cordone sanitario. Il vuoto relazionale che crea per proteggere, fa emergere come un bisogno affettivo e sociale lancinante la relazionalità fisica necessaria al benessere psichico della persona.

Abbiamo surrogato con il web. Siamo tutti diventati esperti di zoom in un anno: di fronte a uno schermo ci siamo resi conto di come le relazioni costituiscano rischio di contagio, ma anche bisogno di affettività. Analoga ambivalenza si riverbera nella parola schermo, che indica sia il riparo e la protezione, sia la superficie piana su cui si forma e raccoglie l’immagine. Il web sta consentendo una forma diversa di interazioni di prossimità che la pandemia ha accelerato. La pubblicità se ne accorge e lo narra con efficacia interpretando bisogni, momento e circostanze. Nello spot natalizio di Vodafone, poco dopo che la musica è iniziata, Cattelan domanda: “È possibile fare un concerto live ovunque tu sia?”. Concerto, concordia d’esecuzione, accordi e armonia che imporrebbero la presenza fisica. La struttura dello spot mostra tanti “solisti” che eseguono la stessa canzone in un accordo che la rete – la connessione – rende possibile anche da lontano.

Non serve esplicitarlo, la sequenza di prossimità con cui i vari video, eseguiti da città differenti riconoscibili iconicamente, vanno a concertarsi sottolineano il valore socialmente riconosciuto della relazione di prossimità e includono altri due valori, la salute e la sicurezza, nel momento in cui epidemia e natale si sovrappongono. La domanda dello spot li richiama implicitamente. Il consumatore usando la rete li riconosce e li adotta. La rete consente di soddisfare le necessità quotidiane specifiche di questa fase. La persona si adegua agli obblighi sociali senza rinunciare alle possibilità del concerto.

La musica eseguita nello spot è Season of Love, tema centrale del musical rock Rent, premiato con il Pulitzer nel 1996. L’opera racconta la vita bohémien di un gruppo di artisti nel Lower Est Side nella New York dell’AIDS. In quegli anni l’infezione da HIV correva veloce nei contagi e nelle morti che provocava. Season of Love pone la questione fondamentale non solo per chi si ammala o per chi vive con una malattia cronica ma per tutti. Il testo recita: Cinquecentoventicinque mila seicento minuti, Cinquecentoventicinque mila momenti, così preziosi – come misuri un anno nella vita? Giorni, tramonti, tazze di caffè, risate, conflitti, pollici, miglia…? Misuralo in amore, stagioni d’amore.

Alle volte una canzone con uno spot riescono a raccontarci di come si vive oggi, con un’immediatezza che stordisce – come questi anni di Covid.