A Rimini la 58° edizione del Congresso Nazionale della Società Italia di Reumatologia, con 1.500 specialisti.
Sono almeno mezzo milione gli italiani sono affetti da fibromialgia, in forma grave o molto grave; un esercito di uomini e donne dalla vita rovinata da questa evanescente patologia. “Per questo, è necessario che la fibromialgia venga subito inserita nel LEA” – chiede il professor Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia, durante il congresso nazionale della società scientifica, tenutosi di recente a Rimini. Solo due anni fa è stato attivato un registro per questa malattia che ha finora raccolto i dati di oltre 4 mila persone reclutate presso 45 centri specializzati attivi su tutto il territorio nazionale. “Si tratta – commenta il professor Gerli – di uno strumento fondamentale per pazienti, medici e istituzioni. Al momento, questo è il primo registro al mondo per numero di malati inseriti; uno strumento prezioso per effettuare ricerche scientifiche, migliorare la conoscenza della malattia e della sua storia naturale, definire l’intervallo di tempo tra esordio dei sintomi e la diagnosi, monitorare e aggiornare il percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA). Ci consente inoltre di quantificare gli esiti e l’impatto sociale-economico di questa patologia.”
La SIR ha già incontrato più volte il Ministero della Salute e la Commissione nazionale per l’aggirnamento dei LEA con l’obiettivo di definire, sulla scorta dei dati raccolti, come organizzare al meglio l’assistenza socio-sanitaria per queste persone. “La fibromialgia – spiega il professor Fausto Salaffi, Università Politecnica delle Marche e responsabile nazionale del Registro Fibromialgia – è una sindrome da sensibilizzazione centrale, caratterizzata da un forte dolore muscolo-scheletrico diffuso e da una serie di segni e sintomi che condizionano una pessima qualità di vita. Tra questi, i disturbi del sonno, cefalea e disturbi gastro-intestinali”. In Italia sono colpite 1 milione e 200 mila persone tra uomini e donne, 500 mila delle quali in forma grave. In epoca di medicina di precisione è fondamentale avere a disposizione dati precisi su questa patologia, tra le più temute in ambito reumatologico. E anche la telemedicina potrebbe venire in aiuto per la gestione di questi pazienti. “Questa risorsa – riflette il professor Gerli – ci consente di raggiungere e gestire da remoto i pazienti, senza costringerli a recarsi in ambulatorio”.
Diagnosi precoce, ancora una chimera. La diagnosi precoce è indicata come obiettivo di Sanità Pubblica, anche nel Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, che contiene una serie di indicazioni di governance a livello centrale, regionale e locale. Purtroppo ad oggi, rappresenta un obiettivo non centrato. “Eppure niente come la diagnosi precoce produrrebbe, grazie a un intervento terapeutico tempestivo – afferma il Professor Maurizio Montecucco, Presidente della Fondazione FIRA, Fondazione Italiana per la Ricerca sull’artrite – un vantaggio umano, sociale ed economico per i pazienti reumatologici, le famiglie e l’intera comunità.
Fondamentali per misurare il successo delle operazioni di diagnosi precoce sul territorio, sarebbero il monitoraggio e la valutazione dei processi e degli esiti. Purtroppo è ancora in attesa di aggiornamento invece il Piano Nazionale Cronicità, comunque non recepito integralmente a livello regionale. Come SIR – sottolinea Montecucco – rilanciamo gli interventi previsti, dall’implementazione dei sistemi di sorveglianza sulla prevalenza di fattori di rischio per malattie croniche non trasmissibili, all’informazione su corretti stili di vita e malattie croniche, fino alla programmazione di azioni mirate a identificare precocemente i soggetti in condizioni di rischio aumentato o con patologia già in atto, per indirizzarli verso un’adeguata presa in carico”.
“La diagnosi precoce – ricorda Gian Domenico Sebastiani, Presidente Eletto di SIR – è il presupposto della terapia personalizzata. La destinazione finale è la medicina di precisione che ha l’obiettivo di identificare l’approccio terapeutico migliore per la gestione del singolo paziente affetto da una determinata malattia. Il suo principale prerequisito è l’identificazione di caratteristiche correlate all’esito favorevole di un determinato trattamento: biomarcatori clinici o molecolari o di imaging, che consentano di stratificare i pazienti e prevedere la risposta. L’artrite reumatoide è una delle più comuni malattie croniche infiammatorie immuno-mediate e, nelle ultime due decadi, si è assistito all’introduzione di trattamenti innovativi che hanno prodotto un miglioramento drammatico della prognosi, con la possibilità di mandare in remissione la malattia. Tuttavia, l’evidenza scientifica che possa supportare la scelta di una particolare molecola efficace a livello individuale è ancora scarsa.
I farmaci disponibili per l’artrite reumatoide presentano una diversa efficacia nei pazienti affetti da questa malattia. La possibilità di utilizzare I biologici, in base alle caratteristiche istologiche e molecolari del tessuto sinoviale, può avere un impatto significativo sulla salute del singolo paziente, riducendo l’esposizione a farmaci inappropriati. La sfida attuale è dunque quella di individuare le caratteristiche molecolari correlate alla risposta individuale a un dato farmaco. Utilizzare farmaci in modo mirato comporta un consistente risparmio di risorse economiche”.
Persone con malattie reumatologiche e Covid-19. Il congresso nazionale è stata anche l’occasione per presentare i dati raccolti dalla SIR nel Registro Coronavirus e Malattie Reumatologiche, varato a fine marzo 2020. Il registro ha raccolto dati relativi a circa 1.700 pazienti, un terzo dei quali affetto da artrite reumatoide, un altro terzo da spondiloartrite, il 19% da connettiviti e il 7% da vasculiti. Il 28% di questi pazienti è stato ricoverato e il 29% sottoposto a ventilazione non invasiva, mentre il 9% è stato intubato. “I dati aggiornati – ricorda il dottor Luigi Sinigaglia, past president Sir – riflettono alcune tendenze già osservate nella prima parte della pandemia. I pazienti reumatologici, se colpiti dal Covid-19, presentano esiti più gravi rispetto alla popolazione generale. La situazione risulta ancora più grave negli over 65 e in presenza di altre patologie concomitanti, come quelle cardio-polmonari. Per questo rinnoviamo il nostro appello a tutte le persone con malattie reumatologiche e ai loro caregiver, perché seguano con attenzione tutte le norme igieniche e di distanziamento sociale. E naturalmente raccomandiamo loro di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid, terza dose compresa, trattandosi di pazienti fragili”.