Morfologie n.38 – Transizione e gradualità: le parole d’ordine dell’assistenza sanitaria che verrà di Antonella Celano

Con la missione 6 del PNRR, speriamo di essere ad una svolta della sanità territoriale e che non si tratti invece solo di cambiare il nome a cose già esistenti (le Case della Salute si chiameranno Casa della Comunità), peraltro neppure in tutte le Regioni, visto che stiamo continuando a curarci in base al CAP di residenza. Chiediamo di cercare di omologare quello che quello che già abbiamo, offrendo a tutti servizi di qualità.

Un ospedale di comunità, per funzionare bene, dovrebbe avere personale qualificato e in numero adeguato, ma questo spesso non accade. Ne consegue che l’assistenza erogata non è adeguata alle esigenze del paziente.

Un’altra nota dolente è l’insufficienza di informazioni: il paziente, ad esempio, non sa che se le lista d’attesa nella sua Regione sono troppo lunghe, può avvalersi del piano nazionale delle liste d’attesa, ma né le Regioni, né le Asl hanno mai dato informazioni in proposito. Accanto ad un servizio sanitario su misura del paziente, è dunque necessario dare più informazioni.

Sarebbe inoltre opportuno occuparsi dei problemi di tutti i giorni, come quello dell’accoglienza. Ancora oggi, in molte zone, ci si cura in ambienti che sembrano ambulatori di guerra. La missione 6 del PNRR prevede la presenza delle Associazioni di Pazienti nelle Case di Comunità. APMARR chiede innanzitutto l’ascolto, ma un ascolto che sia reale, perché chi rappresenta i problemi dei pazienti li conosce davvero e, pertanto, deve essere ascoltato.

Per quanto riguarda la telemedicina, infine, di certo questa potrà facilitare l’assistenza di chi vive in zone difficili da raggiungere e contribuirà a tagliare le liste d’attesa in ospedale o sul territorio, ma ci sono dei ‘ma’. Non tutto può essere delegato alla telemedicina. La telemedicina va bene sicuramente per i controlli, nel momento in cui il paziente è già ben inquadrato; una prima visita o una presa in carico devono però avvenire di persona. È necessario inoltre tariffare le prestazioni di telemedicina ed inserirle nei LEA, altrimenti tutto resta aleatorio. Sarebbe opportuno alfabetizzare non solo il paziente, ma anche il personale sanitario, perché possa mettersi al passo con l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico e con la tecnologia da adoperare, perché non tutti attualmente hanno la capacità di utilizzare nuovi strumenti. La telemedicina, in molte Regioni, è davvero ancora fantascienza.

Stiamo qui a parlare di telemedicina quando, da molte parti, ti chiedono ancora la stampa della ricetta dematerializzata: un vero ossimoro. Sappiamo con certezza che è una strada percorribile, e lo dimostra l’esperienza di alcuni Stati, come ad esempio Israele, dove è diventata pratica quotidiana. Tenersi lontano dall’ospedale va benissimo per chi è costretto a fare molti chilometri per raggiungerlo, per chi può fare le terapie tranquillamente a domicilio e ha bisogno solo di un controllo da remoto. La transizione però deve essere assolutamente graduale, per permettere a tutti di abituarsi ad utilizzare questi nuovi strumenti e per evitare che le persone ‘curate a distanza’ non abbiano l’impressione di essere ‘scaricate’ dal proprio medico.