MORFOLOGIE 48 – Inutile è la vita di chi non sa sognare. Perché non pensare a un’assistenza psicologica per chi ha una malattia reumatologica?

TESTIMONIANZE

di Elida Sergi, giornalista

Elida Sergi

Arrivo al Policlinico Umberto I di Roma e invece di perdermi nei meandri di questo grande ospedale, come al mio solito, vado dritta come un treno nel seminterrato del padiglione dove si trovano gli ambulatori di reumatologia. Cuore che batte perché sono sul filo orario dell’appuntamento, arrivo alla reception e l’infermiere mi riconosce e mi accoglie con un sorriso. Anche una dottoressa che conosco, che non mi seguirà più nel breve termine, mi riserva la stessa, bellissima, attenzione. Mi tranquillizzo, ma non basta perché stamattina la fonte della mia ansia è rappresentata dal passaggio dai farmaci tradizionali al biologico: avrò tutte le carte? La borsa frigo sarà abbastanza grande per contenere i farmaci che dovrò portare a casa? E se mi sento male dopo la somministrazione? Domande banali, so che dovrei semplicemente andare avanti e non accadrà nulla, eppure mi assillano. Mi viene allora in mente, mentre faccio la spola più volte con la farmacia ospedaliera, che un paziente certo si abitua ai luoghi, alle corsie di ospedale, ai visi di medici e infermieri, quello anzi è rassicurante. Ciò a cui non si abitua è però l’attesa di un nuovo farmaco, la paura che qualcosa vada storto, il timore di sbagliare. Mi vengono allora in mente i dati di un’indagine di WeResearch per Apmarr che individuano in ansia (40,9%) e paura (37,6%) i sentimenti principali e negativi vissuti dalle persone affette da una patologia reumatologica nel momento dell’avvio della terapia farmacologica, con solo il 9,1% che dichiara di essersi sentito tranquillo all’inizio delle cure. Di fronte al cambiamento della terapia, cosa tutt’altro che infrequente, accade ancora peggio: solo il 3,4% degli intervistati si dichiara tranquillo. Cosa fare allora perché una patologia reumatologica sia vissuta nella diagnosi e nella cura più serenamente e non come una ‘sentenza senza appello?’.

Forse una chiave c’è, naturalmente per chi vuole usufruirne: fornire un’assistenza psicologica, specie nei casi gravi, in cui si percepisce tutto il peso di una vita destinata a modificarsi profondamente a causa di una malattia cronica invalidante (lo sono diverse patologie reumatiche). Non c’è nulla di male a chiedere aiuto e tantomeno a riceverlo. Il medico può essere bravissimo nello spiegare la terapia, gentile nei modi, ma non avere tutto il tempo necessario per ascoltare tutte le paure, i timori. Oppure il paziente stesso può avere un blocco istintivo nel parlare con lui di certe cose, per paura che certi argomenti siano di troppo. Un discorso, quello delle paure di chi affronta una malattia, che fa da pari con quanto affermato dal presidente del CReI Collegio dei reumatologi italiani durante la presentazione a Roma di un evento per i 40 anni di Apmarr, e cioè che lo specialista vorrebbe trasmettere l’entusiasmo per le nuove terapie che arrivano per le malattie reumatologiche e che in quanto innovative potrebbero essere in molti casi una svolta per la cura di queste patologie. Lo diceva sempre durante l’evento per i 40 anni di Apmarr anche la presidente Antonella Celano: servirebbe un servizio di supporto psicologico nei centri di reumatologia. Troppo ambizioso come progetto? Chissà, ma io da paziente preferisco pensarla come Jim Morrison. Non dire mai che i sogni sono inutili, perché inutile è la vita di chi non sa sognare.