La ricerca sulla transizione realizzata da APMARR e WeResearch è stata presentata al Congresso europeo di reumatologia a Vienna e alla conferenza stampa ufficiale. Un esempio di come le Associazioni Pazienti possano dare un valido apporto scientifico, anche su palcoscenici prestigiosi e internazionali. Un motivo di orgoglio e un incentivo a proseguire su questa strada.
di Andrea Tomasini*
Gli entusiasmi in genere sono rischiosi, perché possono portare a non considerare tutti gli aspetti della situazione che si sta vivendo e a ingannarsi. Ma non lasciarsi contagiare dall’eccitazione è difficile. Pur con tutti i caveat del caso, l’entusiasmo può costituire una reazione sana, un traino che lega l’impegno profuso allo scenario che muta, alla correttezza che sembra affiorare dalla prospettiva futura: un modo per render leggero il cammino perché la strada sembra proprio quella giusta. Il congresso EULAR di Vienna è stata una occasione importante e corroborante. Le ragioni sono numerose.
Innanzitutto, abbiamo visto accolto come presentazione orale al congresso, la ricerca che abbiamo condotto con l’istituto WeResearch sulla transizione – il passaggio dall’età adulta a quella pediatrica e la necessaria continuità terapeutica tra il care pediatrico e quello dell’adulto, necessità e diritto della persona con malattia reumatica su cui da tempo APMARR insiste. EULAR per prima percepisce come snodo fondamentale la questione, tanto da averle dedicato una sessione intera.
La ricerca APMARR-WeResearch ha esplorato la transizione dall’assistenza sanitaria pediatrica a quella per adulti, valutandola come un momento cruciale nella direzione dello sviluppo di un adolescente. Sono stati presi in esame pazienti di età compresa tra 14 e 20 anni e i loro caregiver. Si tratta di una ricerca quali-quantitativa. Sono stati inviati e ricevuti compilati questionari a oltre 300 caregiver di persone con malattia reumatologica, dai 16 ai 20 anni di età.
Presentando il lavoro, Matteo Santopietro, managing director di WeResearch, ha evidenziato che uno dei principali ostacoli che le famiglie e i pazienti devono affrontare nel passaggio dal reumatologo pediatrico a quello adulto è la mancanza di informazioni chiare su questo processo: “C’è spesso una comunicazione non strutturata tra i due medici e un rischio di interruzioni nella continuità terapeutica”. In effetti, i risultati del lavoro
hanno mostrato che fino al 30% dei caregiver riteneva di non avere informazioni complete sul processo di transizione. Per i pazienti, sono state identificate tre aree critiche. In primo luogo, ci sono aspetti burocratici che rendono il processo di transizione eccessivamente lungo. Inoltre, i pazienti hanno riferito che la comunicazione e il coordinamento tra i loro medici pediatrici e quelli adulti erano insufficienti. E infine sono emersi aspetti emotivo-psicologici: la necessità di adattarsi a nuovi ambienti medici e assumersi una maggiore responsabilità per la propria salute, generando nei pazienti la sensazione di abbandono.
Il lavoro APMARR-WeResearch è stato valutato dal Congresso di Vienna così rilevante da inserirlo, unico studio italiano, negli approfondimenti con cui è stata scansionata l’unica conferenza stampa del convegno internazionale. Certo, la spiegazione risiede nella criticità di una questione che costituisce un problema irrisolto, pur in presenza di linee guida che parrebbero volerne normare e eseguire, con tutte le migliori e convergenti volontà delle parti.
Su questo fronte APMARR è stata promotrice di diverse azioni di informazione e sensibilizzazione che hanno poi preso forma concreta nel testo di risoluzione votata all’unanimità dalla Commissione XII della Camera dei Deputati. La risoluzione impegna il Governo a istituire, presso il Ministero della Salute, un tavolo per la reumatologia che includa le principali società scientifiche e le associazioni di pazienti e caregiver attive nel campo della reumatologia pediatrica, al fine di definire un percorso nazionale da applicare a livello regionale, per la transizione, per evitare la perdita di aderenza alla terapia, assicurando così la continuità delle cure.
Andrea Tomasini, Consigliere APMARR
La ricerca APMARR è nata per la necessità di assegnare al punto di vista del paziente un ruolo attivo nella definizione dell’agenda della ricerca. Analoga sensibilità sta nelle nuove raccomandazioni di EULAR per coinvolgere i rappresentanti dei pazienti nei progetti scientifici. A Vienna – in coincidenza con la pubblicazione delle nuove raccomandazioni su Annals of the Rheumatic Diseases – EULAR è tornata a richiamare l’importanza assoluta del contributo dei partner di ricerca dei pazienti (PRP). Gli aggiornamenti proposti si sono resi necessari perché dal 2011 a oggi il ruolo delle associazioni si è evoluto e la formazione interna ha generato figure sempre più capaci di coniugare esperienza con competenza. I vantaggi del coinvolgimento dei PRP sono sempre più riconosciuti. I PRP sono definiti come persone con una malattia rilevante che operano in qualità di membri attivi del team di ricerca. Ciò avviene su una base di parità: i partner di ricerca dei pazienti aggiungono il vantaggio della loro esperienza e conoscenza nell’interazione che si stabilisce con i ricercatori professionisti. Questo approccio è stato utilizzato nello sviluppo di linee guida e nella ricerca clinica, nonché per sviluppare e raccogliere risultati riferiti dai pazienti, studi sulle preferenze dei pazienti, valutazione delle domande di sovvenzione di ricerca, processi normativi e consorzi di ricerca internazionali. EULAR quindi ha aggiornato le raccomandazioni PRP 2011. Il nuovo lavoro che aggiorna le raccomandazioni del 2011 è pubblicato nel numero di giugno 2024 degli Annals of the Rheumatic Diseases. Include 10 raccomandazioni individuali e 5 nuovi principi generali. I principi generali sottolineano che i PRP forniscono input attraverso una collaborazione attiva come partner alla pari con i ricercatori, sulla base della loro conoscenza esperienziale e dell’esperienza della malattia oggetto di studio.
Le persone che assumono il ruolo di PRP aggiungono valore e rilevanza a tutti i tipi di ricerca, a vantaggio sia dei pazienti che dei ricercatori. Il vantaggio per la comunità è evidente: porre all’ordine del giorno questioni che non sempre il ricercatore e il medico include nell’orizzonte della sua attività, innescando un percorso virtuoso. Non si tratta di generiche e futuribili raccomandazioni. Un esempio in tal senso è costituito dai risultati dello studio NECESSITY, uno studio interventistico che esamina nuovi endpoint clinici nella malattia di Sjögren. L’obiettivo è identificare endpoint sensibili che potrebbero essere utilizzati negli studi clinici per valutare l’efficacia di nuovi farmaci. Inoltre, il progetto spera di trovare marcatori biologici che potrebbero essere utilizzati per identificare sottogruppi specifici di persone con diversi tipi di malattie. Il progetto ha riunito un consorzio di 25 partner del mondo accademico e dell’industria, compresi i rappresentanti delle associazioni di pazienti. Per valutare i vantaggi di lavorare con i gruppi di consulenza dei pazienti, è stato condotto un sondaggio tra i partner. Le principali sfide individuate includevano differenze nelle prospettive e nelle percezioni della malattia di Sjögren, nonché la necessità di andare oltre le considerazioni strettamente scientifiche per includere le opinioni dei pazienti e attuare le loro idee. La maggior parte degli intervistati si è detta favorevole a lavorare con i pazienti per convalidare i bisogni insoddisfatti, in particolare quelli relativi ai sintomi e alle aspettative di cura.
La strada per una collaborazione tra ricerca e associazioni produce effetti concreti, e di questo, tornando da Vienna, non si può non essere entusiasti.
* Consigliere APMARR