Morfologie n°45 – IL PRIMO INCONTRO CON LA ‘ARTRY’

“Che dolore alle mani! Le avrò schiacciate sotto al cuscino dormendo”. È iniziata così la mia storia con l’artrite reumatoide, in una mattina estiva e piena di sole di settembre 2023. Senza preoccuparmi più di tanto, sono andata avanti per diversi giorni. Ma il dolore non andava via, aumentava. “Se ne andrà, ho portato le buste della spesa pesanti e il tablet per lavorare fuori casa”: continuavo a ripetermelo ma non ne ero troppo convinta neppure io a questo punto. Fine settembre inizi ottobre. Una mattina il mio corpo mi manda un ulteriore segnale, che a questo punto non ho potuto più trascurare. Mani e piedi gonfi. Delle portaerei. La fede e l’anello di fidanzamento non si levavano più, il dolore si era esteso anche al polso. Al mattino era uno strazio. Non riuscivo ad aprire una bottiglia del latte, a girare la macchinetta del caffè, ad abbottonare i jeans a mio figlio, a infilare gli stivali, ad agganciare il reggiseno.

Da giornalista ho scritto diverse volte di artrite reumatoide, inizio a pensarci. Il primo passo è andare da un reumatologo. Ci vado, in un ambulatorio privato a Roma convenzionato con l’Ordine dei giornalisti e ovviamente mi guardo bene dal parlare col medico del mio pensiero su che patologia potesse essere. È lui a dirmi: “Signora, dobbiamo fare il percorso dell’artrite reumatoide. Capire se lei ha questa malattia”. Iniziano una sfilza di analisi, comincio a familiarizzare con termini come Pcr, reuma test. Faccio anche una risonanza durata due ore. Risultato negativo per il reuma test. Dalla risonanza, versamento ai tendini (tenosinuvite). Mi confronto con mia madre medico che mi dice ma no, sarà una tendinite, il reumatologo anche afferma che non è sicuro che io ce l’abbia la malattia, che potrebbe in ogni caso trattarsi di una early arthritis in stadio quindi molto precoce. Mi da un antinfiammatorio specifico che funziona, al punto che quando lo interrompo il dolore ritorna dirompente.

In attesa di una nuova visita, inizio a cercare dei centri pubblici. Ecco che mi compare il Policlinico Umberto I di Roma, che ha degli ambulatori dedicati proprio all’early arthritis. Scrivo una mail per prenotarmi e ho fortuna: una signora ha disdetto e hanno posto pochi giorni dopo. Arrivo titubante nella stanza, la professoressa Manuela Di Franco mi accoglie insieme al suo braccio destro e ad altri specializzandi. Iniziano a visitarmi scrupolosamente e infine la diagnosi: artrite reumatoide sieronegativa. Cosa significa? Che dalle analisi specifiche non emerge, capisco. “Signora inizi subito le punture di immunosoppressori e il cortisone. Dobbiamo fermare la progressione subito. Stia tranquilla, il giorno dopo le punture potrà avere un po’ di nausea”.

Ho iniziato la terapia, con timore devo dire: gli effetti collaterali si sono fatti e si fanno tutt’ora sentire, sono qualcosa che va un pochino oltre una piccola sensazione di nausea ma tant’è. Io e la mia Artry conviviamo, a volte bene, a volte molto male. È la mia seconda malattia autoimmune. Ma è iniziato un percorso che mi ha fatto capire ancora una volta di più che quello che scrivo è importante. Perché le persone con artrite reumatoide le cose che io scrivo le provano, i farmaci di cui io scrivo li testano, i disagi li vivono in prima persona. Io sono una di loro, impaurita eppure speranzosa nella ricerca e nel futuro.

di Elida Sergi