La dimensione dell’Abitare per il ben-essere della persona

Per migliorare la propria qualità di vita attraverso la propria abitazione, APMARR propone un progetto di empowerment delle persone che vivono una condizione di patologia cronica e di disabilità, partendo dalla dimensione dell’abitare

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Noi esseri umani siamo fatti di una natura complessa. Dentro di noi vive una parte biologica, l’organismo appunto, una parte mentale, il centro del nostro pensare, una parte spirituale, i nostri valori ed i nostri ideali più profondi, ed infine, una parte
relazionale, che ci permette l’incontro con noi stessi e con gli altri.

Comprendere questa complessità significa osservare gli esseri umani nella loro relazione con l’ambiente, interno ed esterno.

L’ambiente interno è il nostro patrimonio interiore, costituito dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni e dal modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri.

L’ambiente esterno, invece, è rappresentato sia dall’ambiente relazionale costituito dal contesto familiare e sociale, in cui la persona vive e si confronta, e sia dall’ambiente fisico, riferendoci, in questo caso, all’ambiente costruito in seguito all’intervento
umano.

La qualità del rapporto che riusciamo ad intrattenere con il nostro ambiente interno e con il nostro ambiente esterno influisce sulla nostra salute.

La salute dell’individuo, infatti, non è semplice assenza di malattia, ma piuttosto uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. (Dichiarazione OMS, 1948)

A questo punto del lavoro è lecito, quindi, farci una domanda. Se l’ambiente relazionale è in grado di influenzare positivamente o negativamente lo sviluppo di una personalità, quanto è in grado di farlo, invece, l’ambiente costruito, come
appunto la nostra casa?

Partendo da queste premesse, APMARR sta avviando un nuovo progetto per l’empowerment delle persone che vivono in una condizione di cronicità e/o di disabilità, affrontando il tema dalla dimensione dell’abitare. Il programma si rivolge anche ai caregiver, che spesso si trovano a prestare assistenza in una situazione abitativa non idonea.

Attraverso strumenti di ascolto (questionari) e divulgativi (articoli) si cercherà di valutare il livello di consapevolezza sulla dimensione dell’abitare e di favorire una maggiore conoscenza degli strumenti legislativi attualmente disponibili.

L’obiettivo di questo progetto è favorire l’empowerment delle persone con disabilità e con patologie croniche, partendo da una maggiore consapevolezza rispetto ai bisogni dell’abitare e al miglioramento della qualità di vita e dell’autostima, derivanti
da una ‘casa su misura’.

Parlare di casa, significa, parlare di Noi. La nostra casa rappresenta il “set cinematografico” in cui va in scena il film della nostra Vita, e noi scegliamo se esserne dei semplici attori oppure i registi. La casa esprime la nostra personalità, ci identifica in modo univoco, come l’impronta digitale. Parlare della nostra casa significa comprendere come la relazione che abbiamo con essa possa creare in Noi benessere, oppure, malessere.

La psicologia ambientale, nata agli inizi degli anni ’70 negli Stati Uniti da due discipline di studio già esistenti, cioè la psicologia dell’architettura e la geografia comportamentale, ha cominciato a studiare più in profondità le risposte emotive, cognitive e comportamentali degli individui nella relazione con un determinato spazio ed ambiente.

I primi studi effettuati in questo ambito approfondirono il ruolo svolto dalla ristrutturazione edile sul comportamento dei pazienti di un ospedale psichiatrico, ma presto l’attenzione si spostò successivamente anche agli ambienti lavorativi e residenziali.

Lo sviluppo di una progettazione sempre più inclusiva e vicinia ai bisogni ed alle necessità emotive delle persone non può, prescindere, pertanto, da un approccio multidisciplinare offerto dalle conoscenze dell’architettura e della psicologia.

Nella progettazione, soprattutto di un ambiente abitativo, è fondamentale che si dia risalto ai bisogni funzionali ed ai bisogni percettivi e sensoriali per dare l’opportunità a tutti, bambini, anziani, persone con disabilità, di vivere e godere la casa in maniera indipendente e partecipata.

Un ulteriore contributo al nostro lavoro lo fornisce il concetto di ergonomia, la cui etimologia risiede nelle parole greche érgon (lavoro) e ńomos (regola, legge).

Il termine ergonomia viene usato per la prima volta da WOJCIECH JASTRZĘBOWSKI in una rivista polacca nel 1857 e in seguito ripreso nel 1949 da MURREL che lo arricchì con il concetto di design di prodotti, servizi o ambienti la cui caratteristica dovevaessere, principalmente, rispondere ai bisogni degli utenti.

Concetti come, facilità di utilizzo, accessibilità e design diventano fondamentali nella progettazione di oggetti ed ambienti. Ergonomia, pertanto, nel senso di restituire godibilità e fruibilità, grazie ad una progettazione che includa l’estetica e la facilità d’uso di ambienti ed oggetti.

Architettura e design si arricchiscono, pertanto, di una funzione sociale, in cui si cerca di rispondere ai bisogni delle persone, partendo da quelli delle persone con disabilità.

Rendere l’ambiente attraente e, allo stesso tempo accessibile per le esigenze di tutte le persone, significa costruire una società fondata sull’autonomia e sullo sviluppo, sulla libertà e sulla bellezza, di tipo universale.

“…lavorare ognuno nel suo campo di competenze e secondo le proprie possibilità, per una casa e una città più umana, per una città capace e ordinata architettonicamente affinché tutti gli uomini, anche quelli che usano sedie a rotelle, possano circolare, accedere senza ostacoli, completamente, liberamente…” (LE CORBUSIER)